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Gli inizi in Sicilia, il papà maestro, l’impegno contro la violenza: chi è Luigi Busà, il karateka d’oro di Tokyo 2020

06 Agosto 2021 - 16:21 Luca Covino
La storia del campione di karate, che ha fatto della filosofia dietro l'arte marziale un modo di essere

Nella filosofia Zen il concetto di Mushin, letteralmente “senza mente”, è rappresentato con il carattere dell’alfabeto giapponese che esprime il concetto di “abnegazione”, “cuore” e appunto “mente”. La storia di Luigi Busà, che ha conquistato nella categoria 75kg del karate, una medaglia storica ai Giochi di Tokyo 2020, può essere descritta così. Dal Siracusano alla terra natìa della disciplina alla quale ha votato la sua esistenza, Busà ha basato tutto sull’esempio, in equilibrio proprio tra cuore e mente, come insegnano i maestri di Okinawa che hanno inventato il karate, non a caso “l’arte della mano vuota”, nato proprio sull’isola giapponese intorno al XVII secolo.

Come Busà è diventato il karateka d’oro

Cresciuto ad Avola, nel siracusano, insieme alle sorelle Lorena e Cristina, anche loro combattenti, Busà si avvicina alle arti marziali da ragazzino, Ha raccontato in un’intervista prima di partire per Tokyo al quotidiano La Repubblica: «A 13 anni mi piaceva mangiare, pesavo 94 chili ed ero più basso di adesso». Tutto ebbe inizio per gioco, come spesso accade nelle vicende degli sportivi. Ma è anche grazie a una figura importante, quella del padre Nello, ex atleta e tecnico di karate, che Luigi ha valorizzato il suo talento. «Solo lui vedeva in me qualcosa di speciale, vincevo campionati cadetti e secondo lui potevo fare qualcosa di serio». Il supporto paterno per Luigi è stato fondamentale. Fino ai 16 anni, la medaglia d’oro a Tokyo gareggiava nei pesi massimi e solo i consigli del padre sul cambio di categoria lo convinsero a optare per una «una buona scelta», cioè scendere di peso fino ai 75 chili. «Mi fece capire che a livello internazionale non sarebbe stata una buona scelta per i colpi e gli impatti troppo duri. Quindi Dovevo dimagrire e scendere nei medi a 75 chili». Da quel momento l’impegno è totale: Busà si sottopone a una dieta, rientra nel peso idoneo alla categoria e viene incluso nel gruppo sportivo dei Carabinieri, dove inizia a fare sul serio, conquistando 6 medaglie nei Mondiali, tra cui spiccano i primi posti nel 2006 a Tampere e nel 2012 a Parigi. Negli anni Busà si impone sia a livello globale che continentale venendo considerato uno dei karateka più forti al mondo.

Una scelta di vita

«Poco cibo spazzatura e niente fritture: a 25 anni non reggevo più certe serate e ho fatto una scelta di vita», ha detto il classe ’87, inserito nella lista degli atleti da seguire per questi Giochi stilata da Open. Busà, in particolare, è stato anche attivo nel comunicare un altro concetto di lotta attraverso le arti marziali, che prima di tutto significa disciplina e rispetto. «Ho una missione che va oltre alla medaglia d’oro», aveva detto il karateka prima di partire per Tokyo. «Ho intrapreso un percorso molto chiaro: in questo periodo va di moda l’Mma, quindi il trash talk. Si pensa che, per essere dei duri, devi farlo notare con le parole e l’atteggiamento da duro. C’è tanta insicurezza nel giovani», aveva affermato il karateka, «si aggrappano a questi personaggi molto aggressivi nel modo di fare e parlare. Ecco, io voglio portare un messaggio diverso a loro: il vero forte non ha bisogno di farlo notare con atteggiamento da sbruffone o a parole. Ci tengo a questa missione». Che si sta compiendo.

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