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A Siracusa sospesi 49 medici non vaccinati. A rischio anche 1.000 sanitari in Toscana, che fanno ricorso al Tar

19 Agosto 2021 - 16:23 Fabio Giuffrida
Uno dei passaggi del ricorso recita: «Un ordinamento che voglia definirsi libero e democratico non può imporre ai propri consociati trattamenti sanitari dei quali non vi sia certezza in ordine alle garanzie di efficacia e sicurezza»

Continuano a fare rumore le azioni e i destini dei medici che si oppongono alla vaccinazione anti Covid. In Sicilia, dove la situazione si fa sempre più critica, l’ordine dei medici di Siracusa ha sospeso – fino al 31 dicembre – ben 49 medici non ancora vaccinati contro il Covid. «Il medico che può e non si vaccina – ha detto il presidente Anselmo Madeddu – è un pessimo esempio per la società. Le regole si rispettano, così come le indicazioni della comunità scientifica accreditata, altrimenti è meglio cambiar mestiere. Vaccinarsi non è solo un atto di attenzione per la propria salute, ma anche un dovere civico e una necessaria tutela che ogni medico deve garantire ai propri pazienti e assistiti». La sospensione comporta il divieto di lavorare a qualsiasi titolo sia come medico dipendente che come libero professionista: vengono esclusi dalla sospensione coloro che nel frattempo dovessero decidere di vaccinarsi. «Non faremo alcuno sconto ai colleghi che dovessero fare propaganda No vax. Il vaccino è l’unica arma che possediamo. Questa è una battaglia di civiltà e di corrette conoscenze scientifiche, che possiamo vincere solo tutti insieme», ha tuonato il presidente Madeddu.

1.000 sanitari ricorrono al Tar contro l’obbligo vaccinale

In Toscana, invece, 1.000 sanitari a rischio sospensione, tra medici e infermieri, stanno ricorrendo al Tar contro l’obbligo vaccinale, chiedendo di fatto la sospensione dei provvedimenti nei confronti di coloro che non si sono ancora vaccinati, come riporta Repubblica. «Abbiamo già notificato ed è in corso di deposito del ricorso con circa 1.000 ricorrenti ma stiamo raccogliendo altre firme, circa 200, per un altro ricorso uguale», dice l’avvocata Tiziana Vigni che segue i medici insieme al collega Daniele Granara, docente di diritto costituzionale. Uno dei passaggi del ricorso, come riporta Repubblica, recita: «Un ordinamento che voglia definirsi libero e democratico non può imporre ai propri consociati trattamenti sanitari dei quali non vi sia certezza in ordine alle garanzie di efficacia e sicurezza, né esporli ad alcun tipo di rischio per la salute che non sia temporaneo e/o di lieve entità».

Cosa contestano i sanitari

Granara ha presentato ricorsi simili in altre regioni d’Italia per un totale di circa 6.500 operatori della sanità. Secondo i legali, infatti, i loro assistiti qualora dovessero seguire queste norme – che, di fatto, li costringono a vaccinarsi – si vedrebbero «costretti a sacrificare il proprio diritto alla salute e la propria libertà di autodeterminazione, piegandosi a un obbligo liberticida e oppressivo delle opinioni differenti da quelle maggioritarie». In altre parole, proseguono, si violerebbe l’articolo 32 della Costituzione che recita: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Per Granara e Vigni, la “disposizione di legge” sarebbe viziata perché un trattamento sanitario obbligatorio è ammesso solo in presenza di cure che prevedono effetti collaterali lievi o per i quali sono garantiti eventuali risarcimenti, non previsti invece per il vaccino anti-Covid.

E ancora: «La vaccinazione per la prevenzione da Covid-19 – si legge nel ricorso – dato il suo carattere, allo stato, sperimentale, come dimostra la determina di Aifa, Agenzia del Farmaco Italiana, del 23 dicembre 2020, con cui sono imposti studi fino al dicembre 2023 “per confermare l’efficacia e la sicurezza” del vaccino Pfizer, importa una serie di danni e rischi di natura permanente e di grave entità, senza contare che potrebbe arrecarne di ulteriori ancora, tuttavia, allo stato ignoti». Un obbligo vaccinale che, secondo i legali, si esplica in un «consenso informato che non è né un consenso, essendo estorto con la minaccia della sospensione dalla professione e della retribuzione, né informato, in quanto non sono note le controindicazioni a lungo termine». Gli avvocati, infine, citano il passaggio di una sentenza della Corte Costituzionale (la 118 del 18 aprile 1996): «Nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri».

Foto in copertina di repertorio: EPA/Andre Coelho

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