Afghanistan, a Fiumicino altri 211 evacuati. Le voci di chi non riesce a partire: «Picchiati e respinti anche se siamo in lista»
A sette giorni dalla presa di Kabul dei talebani, proseguono non senza difficoltà e le operazioni di evacuazione degli ex collaboratori dei governi occidentali e dei loro familiari dall’Afghanistan. Stamattina, all’aeroporto di Fiumicino, è atterrato un Boeing dell’Aeronautica militare con a bordo 211 afgani, a margine dell’operazione Aquila Omnia, pianificata e diretta dal Comando operativo di vertice interforze. I rifugiati verranno successivamente trasferiti con i mezzi dell’Esercito presso strutture a loro dedicate, dopo i controlli medici. La situazione all’esterno dell’aeroporto Hamid Karzai di Kabul è peggiorata nelle ultime ore. Ieri gli Usa hanno invitato «i cittadini americani a non recarsi all’aeroporto, a restare lontani dagli accessi al terminal, e attendere le nostre istruzioni sulle modalità del loro trasporto», mentre la Svizzera ha rinviato le evacuazioni.
Il caos all’esterno dell’aeroporto
Migliaia di civili tentano di imbarcarsi sugli aerei organizzati dai singoli Paesi per abbandonare l’Afghanistan. Centinaia di ex collaboratori, interpreti, giornalisti che pure rientrano nelle liste stilate dalle ambasciate dei singoli Paesi per il rimpatrio non riescono a partire. Come raccontato a la Repubblica da Arianna Briganti, vicepresidente di NoveOnlus, negli scorsi giorni 150 persone, di cui 140 afgani, perlopiù donne e bambini, dovevano imbarcarsi su un volo della Difesa italiana, ma non sono riusciti a raggiungere il terminal, perché travolti dalla calca all’esterno dall’aeroporto. Secondo la testimonianza, molte donne sono state picchiate e sono finite in ospedale, altre minacciate, ad altre sono stati chiesti soldi per poter accedere allo scalo.
I disperati tentativi di accedere allo scalo per abbandonare l’Afghanistan
«Quella sera – racconta la cooperatrice – ammaccate, affrante, sono tornate casa. Difficile dire loro che la prossima volta avrebbero dovuto tentare di nuovo, uscire dai propri nascondigli, attraversare la capitale in macchina o a piedi». Il tentativo di imbarcarsi non è riuscito neanche il giorno successivo. Ci riproveranno oggi, scrive la Repubblica, sospese tra la speranza dell’espatrio e i timori di nuove violenze alle porte di quello che è l’unico punto di fuga dal Paese.
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