Coronavirus: ma davvero la variante iota è in espansione?
L’agenzia Ansa riporta uno studio preliminare apparso su Nature coordinato dalla Columbia University, che non è stato ancora completamente sottoposto a peer review (la revisione da parte di esperti degli studi scientifici) e annuncia che la variante Iota del nuovo Coronavirus sarebbe in espansione, in particolare negli Stati Uniti. Il problema è che al momento risulta l’esatto contrario. No, non è un problema di Nature. Semplicemente si tratta di dati ormai obsoleti. Cerchiamo ora di capire come è nato questo equivoco.
Per chi ha fretta:
- Passa sempre un certo lasso di tempo tra la presentazione di uno studio e la sua accettazione per la pubblicazione.
- Per ragioni emergenziali le riviste scientifiche possono rendere pubblici anche articoli non ancora del tutto verificati o aggiornati, segnalandolo in apposite note.
- Al momento, la variante Iota non risulta in espansione negli Stati Uniti. Dai dati più recenti emerge l’esatto contrario.
Analisi
Lo studio in questione è stato presentato per la peer review il 7 aprile 2021, per venire accettato il 24 agosto. Abbiamo quindi un divario di quattro mesi, durante il quale sono emersi nuovi dati, i quali ci confermano già che la variante Iota non è affatto in espansione. In cima all’articolo la redazione di Nature riporta una nota, ch’è bene tenere in grande considerazione:
«Questo è un manoscritto inedito che è stato accettato per la pubblicazione. Nature Research fornisce questa prima versione del manoscritto come servizio ai nostri autori e lettori. Il manoscritto sarà sottoposto a revisione, impaginazione e revisione delle bozze prima di essere pubblicato nella sua forma finale. Si prega di notare che durante il processo di produzione possono essere rilevati errori che potrebbero influenzare il contenuto e si applicano tutte le esclusioni di responsabilità legali».
Addetti ai lavori come l’esperto di genomica comparata Marco Gerdol hanno segnalato l’errore, lamentando di aver letto la medesima narrazione in diverse testate nostrane:
«In realtà la variante iota è in nettissima ritirata negli Stati Uniti da quasi quattro mesi, corrisponde allo 0,12% dei casi registrati dal primo luglio ad oggi nel paese e, se proprio vogliamo dare notizie aggiornate, è stata rilevata in un singolo genoma virale tra i 29970 sequenziati nel paese ad agosto».
«Qualcuno dovrebbe davvero fare presente ad alcuni giornalisti che tra la submission di un paper ad una rivista e la sua pubblicazione possono passare diversi mesi e che la situazione pandemica nel frattempo è inevitabilmente destinata a cambiare. Verificare se certi dati sono ancora attuali dovrebbe essere la prassi prima di sbattere in prima pagina titoli del genere».
Come riporta l’Ansa alla fine dell’articolo, si tratta di una variante di interesse (VOI), non di una variante preoccupante (VOC), vale a dire che non esistono sufficienti evidenze per ritenere che possa essere più pericolosa. Sul metodo di classificazione delle varianti trovate maggiori chiarimenti in un nostro precedente articolo.
Al momento la variante, classificata come B.1.526, risulta presente in un solo genoma virale su un campione di 29970 raccolti negli Stati Uniti. Vale a dire lo 0,12% dei casi registrati il primo luglio. Come chiosa Gerdol parliamo di una variante «in nettissima ritirata negli Stati Uniti da quasi quattro mesi».
Conclusioni
Fino al 7 agosto si contavano 14 studi che fanno riferimento alla variante Iota. Quelli più rilevanti sono otto, di questi sette rilevano le seguenti mutazioni nel genoma della variante: L5F, T95I, D253G, con l’aggiunta delle ormai famigerate E484K o S477N, che sono certamente un indizio importante, in quanto associate a una maggiore capacità del virus di infettare e/o eludere le difese immunitarie. Ma nel complesso non risultano ancora evidenze che possa trattarsi di una VOC, come la più preoccupante variante Delta. Al momento non solo non esistono evidenze di una variante Iota in espansione, ma addirittura sembrerebbe in calo da mesi.
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