Così Salvini molla Durigon: l’addio del sottosegretario è sempre più vicino
Tanto tuonò che piovve. Matteo Salvini è pronto a mollare Claudio Durigon, sottosegretario all’economia del governo Draghi. Il Capitano lo fa capire al meeting di Rimini: «Ragioneremo su quello che è più utile fare per lui e per il movimento, per l’esecutivo e l’Italia». Proprio mentre dal suo partito si alzano sempre più voci in dissenso con la sua linea. E in parlamento si va verso una conta nella mozione di sfiducia che potrebbe lasciare sul campo fratture nella maggioranza. Il segretario della Lega vuole evitarle e per questo alla fine la soluzione più probabile è che si vada verso il passo indietro “spintaneo“: le dimissioni prima prima del voto. Perché, spiegano oggi i retroscena dei quotidiani, «il tema è se Durigon ha ancora voglia di prendere calci».
E così il sottosegretario che voleva togliere l’intitolazione del parco di Latina a Falcone e Borsellino per Mussolini (Arnaldo) ha i giorni, se non le ore contate. Anche perché il Capitano è rimasto via via sempre più solo a difenderlo. Né l’ex fedelissimo Giancarlo Giorgetti, né il potente presidente del Veneto Luca Zaia né l’astro nascente Massimiliano Fedriga hanno mosso un dito per difendere l’ex sindacalista dell’Ugl che è stato il padre di “Quota 100” e ha candidato Salvini al Nobel, già al centro di accese polemiche per le sue affermazioni sulle indagini della Gdf sui 49 milioni della Lega e sul generale che sarebbe stato messo lì proprio dal suo partito. Anzi. «Il problema è che personaggi come questi pongono un serio problema identitario alla Lega», ragiona con la Repubblica un primattore del Carroccio. Il rilancio del Capitano, che chiede in cambio l’addio di Luciana Lamorgese al Viminale, è soltanto un bluff. Certificato ieri sul palco di Comunione e Liberazione: «Cominci a fare il ministro o faccia qualcos’altro, ma non voglio nulla».
E questo perché, spiega ancora il quotidiano, in uno scenario di emergenza internazionale come l’attuale Mario Draghi non ha alcuna intenzione di rimpiazzare una pedina fondamentale del suo esecutivo come la ministra dell’Interno. E così il senatore milanese da ieri vede davanti a sé un vicolo cieco: la propaganda contro gli sbarchi, che poggia su dati oggettivamente in aumento, è destinata a infrangersi su un atto parlamentare che la Lega non potrà mai sostenere, ovvero la mozione di sfiducia a Lamorgese annunciata da Giorgia Meloni. Che così potrà guadagnare per l’ennesima volta dalla propaganda del Carroccio, destinato sempre di più a fare la figura di chi abbaia ma non morde.
Un risarcimento in arrivo?
E non è un caso che l’apertura, se di apertura si può davvero parlare, arrivi «per il bene del movimento e», in seconda battuta, «del governo», proprio all’indomani dell’incontro a Palazzo Chigi tra Salvini e il Presidente del Consiglio. In quell’incontro, avevano fatto sapere fonti leghiste, del sottosegretario non si era parlato. Ma oggi emerge un’altra verità. Quella che vede il premier concedere al leader della Lega la libertà di scelta su una soluzione. A patto che si trovi prima della mozione di sfiducia. Anche per non permettere a Giuseppe Conte di ricordare il caso di Armando Siri, come l’ex premier ha fatto ieri proprio a Rimini: all’epoca, visto che di dimissioni lui non voleva proprio sentire parlare, l’allora inquilino di Palazzo Chigi gli revocò l’incarico.
Draghi non vuole arrivare a tanto. Ma la sponda con Giorgetti ha messo Salvini con le spalle al muro. Meglio quindi arrivare a un addio condiviso che costringere il governo a una conta imbarazzante in Aula. O, peggio, il premier a intervenire prima del voto con un decreto ad hoc per mandarlo a casa. Per Durigon, spiega oggi il Fatto Quotidiano, è già pronto un risarcimento di lusso: la candidatura a presidente della Regione Lazio. Che però non è poi così vicina, visto che si voterà nel 2023. Per questo lui fino a ieri pomeriggio aveva intenzione di resistere, resistere, resistere.
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