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Isis-k: chi sono i terroristi che hanno rivendicato l’attentato all’aeroporto di Kabul

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L'Islamic State Khorasan Province, Stato Islamico della provincia del Khorasan, è il primo indiziato dell'attentato all'aeroporto di Kabul. Nasce da una costola dei talebani ma considera gli "studenti di religione" suoi nemici. E potrebbe trasformare l'Afghanistan nel campo di battaglia del conflitto interno al jihadismo mondiale

Le sigle sono due: Isis-k o Iskp. Il significato però è unico: Islamic State Khorasan Province, Stato Islamico della provincia del Khorasan. Sono loro i primi indiziati degli attacchi all’aeroporto di Kabul in cui hanno perso la vita oltre 90 persone tra cui 13 marines americani. Secondo la rivendicazione pubblicata su Telegram a colpire l’aeroporto è stato un suicide bomber chiamato Abd Al-Rahman Al-Lougari. Nel messaggio i terroristi hanno sostenuto che il kamikaze è stato in grado di «superare tutte le fortificazioni della sicurezza» all’aeroporto di Kabul, arrivando “a non più di cinque metri dalle forze americane» prima di farsi esplodere. Ma nella nota il gruppo ha anche accusato i talebani di essere «in alleanza» con i militari americani per evacuare «le spie».

Cos’è l’Isis-k

Il nome di Isis-k o Iskp deriva dall’antica regione persiana che includeva aree che oggi fanno parte dell’Iran, dell’Afghanistan, del Tagikistan, del Turkmenistan e dell’Uzbekistan. La nascita del gruppo viene fatta generalmente risalire al 2014 nella provincia sud occidentale pachistana del Balochistan, durante un incontro fra due emissari dell’Isis e un gruppo di talebani delusi dai loro comandanti. Allora lo Stato Islamico era nel pieno del suo successo e controllava ampie parti dell’Iraq e la Siria. Secondo la Bbc Isis-K ha sede nella provincia orientale del Nangarhar, vicino alle rotte del traffico di droga e di persone in entrata e in uscita dal Pakistan. Al suo apice contava circa 3.000 combattenti, ma ha subito perdite significative negli scontri con le forze di sicurezza statunitensi e afghane e con i talebani.

Ma con gli “studenti di religione” che si sono ripresi l’Afghanistan c’è anche un legame, che si sostanzia attraverso un’organizzazione chiamata Haqqani Network. Che sarebbe responsabile di diversi attacchi terroristici compiuti nel paese tra il 2019 e il 2021. Uno dei capi è Khalil Haqqani, arrivato a Kabul meno di una settimana fa e acclamato dalla folla in una moschea. Su di lui pende una taglia di 3,5 milioni di dollari. Un altro leader è Shahab al-Muhajir, che secondo un rapporto delle Nazioni Unite che risale allo scorso giugno è a capo di una rete che conta tra i 1.500 e i 2.000 combattenti e che ha condotto 77 attacchi kamikaze in Afghanistan nei primi quattro mesi del 2021 contro la minoranza sciita, giornalisti, stranieri, militari e infrastrutture civili.

L’Islamic State Khorasan Province e le esplosioni di Kabul

All’inizio dell’anno alcuni specialisti d’intelligence avevano segnalato all’Onu che il gruppo stava cercando di reclutare talebani scontenti. Molti combattenti dell’Isis-K non sono afghani ma provengono da Pakistan, Tagikistan e Uzbekistan. «Quanto territorio di Afghanistan è controllato dai talebani? C’è molto territorio di cui l’Isis può servirsi. Nell’immediato futuro potrebbero voler fare attentati per apparire nelle news», ha detto al Guardian Aaron Zelin, del Washington institute for Near East Policy. Secondo Charlie Winter, ricercatore al Centre for the Study of Radicalisation dell’Università di Londra, l’aeroporto e le folle in partenza rappresentano «una perfetta riunione di diversi obiettivi del gruppo: i militari americani, gli afghani filo occidentali e i talebani, che l’Isis-K considera apostati».

L’agenzia di stampa Ansa scrive che fino allo scorso anno si riteneva che la costola asiatica dell’Isis, la Provincia del Khorasan (l’antico nome persiano del territorio che dall’Iran abbraccia anche Afghanistan e Pakistan), protagonista di decine di scontri armati con gli ex governativi e i talebani e responsabile di un numero impressionante di omicidi mirati, fosse stata disarticolata, potendo oramai contare solo su una manciata di operativi. Nel maggio del 2020 le forze afghane avevano infatti catturato il capo dell’organizzazione, Zia-Ul-Haq, noto anche come Abu Omar Khorasani. Dal 2015 l’organizzazione ha perso ben sei leader, tutti uccisi o catturati, e oltre 550 ‘ufficiali’.

I due capi di Iskp e la guerra interna del jihadismo mondiale

Poi è arrivato lo “straniero” Shabab al-Muhajir, il primo capo non afghano o pachistano. Sarebbe nato in Siria o Iraq e avrebbe un passato da combattente tra le file di al Qaeda proprio in Afghanistan e Pakistan. Muhajir esordisce con un attacco alla prigione di Jalabad, che dura oltre 20 ore e porta alla liberazione di centinaia di prigionieri, in gran parte jihadisti, ma anche talebani. Lo scorso 8 maggio vengono massacrate oltre 85 studentesse, colpevoli solo di appartenere all’etnia Hazara. I jihadisti indisturbati attaccano con autobomba e Ied la scuola Sayed al-Shuhada a Kabul, dimostrando di essere perfettamente in grado di colpire la Capitale.

Lorenzo Vidino, direttore del programma sull’estremismo alla George Washington University, scrive oggi su Repubblica che Iskp individua come nemici i talebani perché li considera legati ad Al Qaeda, “vecchia” generazione del jihadismo a cui il nuovo network vuole sottrarre la leadership. Gli attentati quindi avrebbero il doppio obiettivo di colpire l’Occidente e minare l’immagine degli “studenti di religione” come portatori di ordine nel paese. Per questo, sostiene l’esperto, l’Afghanistan potrebbe presto trasformarsi nel campo di battaglia del conflitto interno al jihadismo che vedrebbe schierati contro i talebani, Al Qaeda, il network di Haqqani. Con ovvie e drammatiche ripercussioni sulla sicurezza globale.

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