Shahab al-Muhajir: chi è il leader dell’Isis-K che gli Stati Uniti vogliono morto
Shahab al-Muhajir è il capo dell’Isis-K (Iskp) che ha annunciato una campagna terroristica contro i talebani ed è considerato l’ideatore dell’attentato all’aeroporto di Kabul. Nominato leader dell’organizzazione terroristica nel maggio 2020, sarebbe nato in Siria o Iraq e avrebbe un passato da combattente tra le file di al Qaeda proprio in Afghanistan e Pakistan. Muhajir ha esordito con un attacco tragico quanto spettacolare alla prigione di Jalalabad, un assalto che è durato oltre 20 ore e porta alla liberazione di centinaia di prigionieri, in gran parte jihadisti, ma anche talebani. In precedenza ha lavorato per Al Qaeda ed è stato un comandante della rete Haqqani.
Chi è Shahab Al-Muhajir
Al-Muhajir è in cima alla lista degli obiettivi degli Stati Uniti, inaugurata dall’attacco con il drone che ieri ha ucciso due leader di Isis-K. Il Corriere della Sera scrive oggi che come altri potrebbe essere nascosto nella provincia del Nangarhar, contigua al Pakistan, o magari si è rifugiato più ad ovest, ma anche dall’altra parte del confine. Gli altri tre uomini indicati come fondatori dell’Isis-K sono già morti. Hafiz Saeed Kahn era stato centrato da un missile statunitense nel luglio 2016. Saeed era nato nel 1972 nelle aree tribali del Pakistan al confine con l’Afghanistan. Abdul Hasib è stato ucciso in un raid delle forze speciali statunitensi nella provincia di Nangarhar. Abu Saad Orakzai è morto nel 2018 durante un raid.
Ma la base dell’Isis-K è la provincia del Khorasan, ovvero l’antica regione persiana nota tra gli studiosi come «Grande Khorasan» che includeva aree che oggi fanno parte non solo dell’Iran ma dell’Afghanistan, del Tagikistan, del Turkmenistan e dell’Uzbekistan. Oggi è diventata il bersaglio della guerriglia talebana, degli Usa e del governo di Kabul. La sua nomina è stata ufficializzata attraverso un messaggio audio diffuso da Al Milat. All’epoca Muhajir aveva un interprete che aveva parlato al popolo al suo posto. Poi aveva cominciato a farsi conoscere con l’attacco nella scuola femminile: lo scorso 8 maggio sono state massacrate oltre 85 studentesse, colpevoli solo di appartenere all’etnia Hazara. I jihadisti indisturbati hanno attaccato con autobomba e Ied la scuola Sayed al-Shuhada a Kabul, dimostrando di essere perfettamente in grado di colpire la Capitale.
L’Isis-K, l’America e i talebani
In quel momento, probabilmente, l’Isis-K è diventato un pericolo concreto. Anche se c’è forse non per i talebani. Bobby Ghosh, editorialista di Bloomberg News, spiega oggi a La Stampa: «È vero che molti nella leadership taleban considerano Isis-K un nemico diverso da ospiti d’onore come Al Qaeda. Ed è vero che la propaganda Isis definisce i taleban traditori e collaborazionisti per gli accordi con gli Usa. Ma sotto la loro reciproca ostilità c’è una rete di relazioni più complessa». Secondo l’esperto «nel meno peggiore degli scenari, una coppia di taleban a un posto di blocco lascia passare un kamikaze di Isis-K», purché vi siano garanzie sul bersaglio. E ciò a prescindere se americano, russo, afghano o della minoranza sciita di etnia azara: all’occorrenza sono tutti utili bersagli per entrambi. «La storia afghana è piena di esempi di gruppi estremisti che, dopo aver preso Kabul, hanno fatto compromessi con i loro nemici politici e ideologici».
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