Cos’è la nuova Variante sudafricana del Coronavirus e perché non preoccupa gli esperti
La cosiddetta «nuova variante Sudafricana» del nuovo Coronavirus è stata rilevata per la prima volta a maggio col «lignaggio C.1.2». Non ci sono evidenze al momento che possa rivelarsi preoccupante (VOC). Al momento la variante Covid rappresenta il 2% dei casi in Sudafrica. La sua frequenza è relativamente bassa e non risulta in crescita da luglio. Rispetto alle altre sembrerebbe persino in calo. Se è emersa all’attenzione dei media, forse si deve allo spazio creatosi durante la ritirata della variante Beta (ex Sudafricana) rispetto all’ormai dominante variante Delta, in espansione. La maggiore fitness di quest’ultima dovrebbe farci presto dimenticare la nuova variante, assieme ad altre, che inizialmente avevano fatto notizia, salvo finire nel lungo elenco delle varianti di interesse (VOI).
Le mutazioni di C.1.2
In merito a C.1.2 è stato pubblicato un pre-print (uno studio in attesa di revisione) del 24 agosto, dove viene definita come «potenziale variante di interesse». Tra le mutazioni nel genoma di SARS-CoV-2 troviamo R190S, D215G, N484K, N501Y, H655Y e T859N. Notiamo in particolare la posizione 484. Per esempio, nelle varianti indiane (oggi classificate come variante Kappa) avevano destato preoccupazione per la mutazione «E484Q», mentre è ben più famigerata «E484K», associata anche alle VOC. Inoltre è presente la mutazione «N501Y», che troviamo anche nella variante Beta. La combinazione di queste mutazioni non suggerisce (rispetto alle altre varianti) una rilevante capacità del virus di trasmettersi meglio o di eludere particolarmente le difese immunitarie tramite la proteina Spike, ovvero il mezzo con cui SARS-CoV-2 infetta le cellule, riconosciuto quindi come antigene dal nostro Organismo.
Come si è diffusa
Rilevata per la prima volta nel maggio 2021 nelle province di Mpumalanga e Gauteng in Sudafrica, un mese dopo se ne trova traccia anche nel Regno Unito e in Cina. Ad agosto è arrivata in Congo, nelle Mauritius, in Nuova Zelanda, nel Portogallo e in Svizzera. Non di meno, parliamo di sequenziamenti piuttosto limitati.
«Il 13 agosto 2021 abbiamo identificato 63 sequenze che corrispondono al lignaggio C.1.2, di cui 59 avevano una copertura di sequenza sufficiente per essere utilizzate nelle analisi filogenetiche e/o nell’analisi delle spike – continuano i ricercatori – La maggior parte di queste sequenze (n=53) proviene dal Sud Africa. […] Il rilevamento provinciale di C.1.2 ha rispecchiato in una certa misura la profondità del sequenziamento attraverso SA […] suggerendo che possa essere presente nelle province sotto-campionate e questi numeri sono molto probabilmente una sotto-rappresentazione della diffusione e frequenza di questa variante in Sud Africa e nel mondo. Tuttavia, su base mensile, vediamo aumenti consistenti del numero di genomi C.1.2 in Sud Africa, dove a maggio C.1.2 rappresentava lo 0,2% (2/1054) dei genomi sequenziati, a giugno l’1,6% (25/2177) e in luglio 2,0% (26/1326), simile agli aumenti osservati in Beta e Delta in Sud Africa durante la diagnosi precoce».
Dati ancora insufficienti
Se da un lato abbiamo una bassa diffusione nella popolazione, dall’altro i ricercatori notano alcune mutazioni osservate in altre varianti di interesse, in combinazione ad alcune aggiuntive. Così in Sudafrica il National Institute for Communicable Diseases (NICD) continua a monitorare C.1.2. Al momento per l’OMS non ci sono sufficienti dati nemmeno per classificare la variante come VOI. Dunque, non vi sono ragioni al momento nemmeno per temere che questo nuovo mutante possa rappresentare un pericolo per l’efficacia dei vaccini.
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