Cos’è la Variante Mu del Coronavirus e quanto è considerata pericolosa
La variante Mu del nuovo Coronavirus (lignaggio B.1.621), comparsa per la prima volta in Colombia l’11 gennaio 2021, è considerata dall’OMS di interesse (VOI), vale a dire che non risulta potenzialmente pericolosa quanto quelle preoccupanti (VOC), come la ormai dominante variante Delta. Come tutte le varianti Covid è emersa mentre non erano ancora avviate le campagne vaccinali nei Paesi di origine.
Come si è diffusa la “nuova” variante
Stando ai dati a disposizione, la variante si starebbe diffondendo lentamente. Alcuni studi parlano di una espansione rapida in Sudamerica, ma i campionamenti sono limitati. In tutto il Mondo (44 Paesi in tutto) Mu rappresenta meno dell’1% dei positivi. Solo in Colombia alcune fonti suggeriscono che la variante possa riguardare il 39% dei casi. In tutta Europa si contano una dozzina di casi e non risulterebbe in espansione. La variante Delta resta ovunque la vera preoccupazione, perché continua a esserci un significativo numero di persone a rischio, in quanto non pienamente vaccinate. Ecco perché l’OMS considera Mu una VOI.
Le mutazioni nel genoma virale che interessano la proteina Spike (S) sono Y144T, Y145S, R346K, E484K, N501Y e P681H. Due in particolare hanno destato l’attenzione degli addetti ai lavori: E484K e N501Y. Le avevamo già viste nelle VOC (per esempio, sono assieme nella variante Beta) e vengono associate a una potenziale maggiore capacità del virus di infettare, o evadere la risposta immunitaria.
È importante studiare le mutazioni nel codice genetico relativo alla Spike, perché questa è il mezzo con cui SARS-CoV-2 lega ai recettori ACE2 delle cellule, infettandole. Il Sistema immunitario può intervenire proprio riconoscendo la proteina come antigene, producendo i relativi anticorpi specifici. Non di meno, bisogna vedere a livello epidemiologico, come tale combinazione di mutazioni risponde nella realtà.
Gli studi che hanno lanciato l’allarme
Allora perché leggiamo titoli allarmanti riguardo alla variante Mu? Potrebbe dipendere dall’eco di alcuni studi preprint (in attesa di revisione), pubblicati nei mesi scorsi. Uno in particolare si focalizza sulla mutazione P681H. Secondo l’autore della ricerca, Halim Maaroufi, tale mutazione avrebbe aiutato la diffusione della variante Alfa, ma non ci sono evidenze che possa farlo anche con Mu, come invece suggerisce il Ricercatore; riflettiamo anche sul fatto che il paper è stato redatto appena un mese dopo la comparsa della variante.
Uno studio del 3 settembre si è concentrato su altre mutazioni, come R346K, perché teoricamente potrebbe aiutare il virus a evadere le difese immunitarie. Si tratta appunto di ipotesi. Un altro preprint del 7 settembre suggerisce – basandosi su dei modelli statistici – che Mu potrebbe risultare fino a due volte più trasmissibile. Abbiamo visto però, che al momento i dati pervenuti da tutto il Mondo non sembrano confermare tali stime.
«I dati su Mu sono scarsi – ha affermato il microbiologo peruviano Pablo Tsukayama alla National Geographic – similmente a Lambda e altre varianti regionali prevalenti, a causa della capacità limitata degli studi di follow-up e perché queste varianti non sono ancora state una minaccia significativa nei Paesi ad alto reddito come lo è Delta».
Foto di copertina: FrankundFrei| Immagine di repertorio.
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