Dopo Quota 100: il governo studia un fondo per andare in pensione a 62 anni fino al 2024
Il governo Draghi studia un meccanismo per sostituire Quota 100 e permettere di andare in pensione a 62 anni di età fino al 2024. Si tratterebbe di un Fondo Nazionale per il Prepensionamento che è stato progettato dall’ex sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze Claudio Durigon. E alcune fonti del Tesoro citate oggi dal Messaggero confermano che si tratta di un’ipotesi concreta. Il fondo sarebbe una misura temporanea che rimarrebbe in vigore dal 2022 al 2024. Per erogare una prestazione pari alla pensione calcolata con gli stessi criteri di Quota 100. Fino alla maturazione dei requisiti necessari per passare in carico all’Inps. Il tema sul tavolo è: a quanti anni e con quanti anni di contributi si potrà uscire?
Fondo Nazionale Prepensionamento
La proposta è quella di replicare i parametri di quota 100, ovvero 62 anni di età e 38 di contributi. Ma non è escluso che alla fine prevalga una soluzione più dura, con la “quota” che si innalzerebbe a 101 o a 102. Ovvero 63 anni di età e 38 di contributi o tutte le altre possibili combinazioni. Con la soluzione di replica di Quota 100 la prestazione a carico dello Stato arriverebbe a durare 4 anni e 10 mesi per gli uomini e 3 anni e 10 mesi per le donne. Ma il Fondo Nazionale per il Prepensionamento sarebbe solo uno dei tasselli. L’altro è l’Ape sociale, che verrebbe prorogata fino al 2026. Si tratta dell’indennità pagata dall’Inps ogni mese a cui si può accedere da 63 anni se si maturano da 30 a 36 anni di contributi a seconda delle categorie.
Alla quale possono accedere i disoccupati che hanno esaurito gli altri sussidi o gli invalidi o quelli che assistono parenti disabili oltre alle 15 categorie tra cui lavoratori dell’edilizia, infermieri, addetti alle pulizie. L’Ape sociale potrebbe essere allargata in base agli infortuni sul lavoro per le categorie e alla loro gravità e i contributi degli operai edili. Infine c’è Opzione donna. Ossia, spiega ancora il Messaggero, la possibilità per le lavoratrici di lasciare il lavoro con un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni ed un’età anagrafica pari o superiore a 58 anni (per le dipendenti) e a 59 anni (per le autonome). Questo però, a patto di accettare un ricalcolo con il sistema contributivo dell’assegno pensionistico con penalizzazioni che possono arrivare anche a oltre il 20 per cento.
Il flop di Quota 100
C’è però da ricordare anche che Quota 100 alla fine non ha prodotto i risultati attesi e annunciati dal primo governo Conte, quando la Lega e il MoVimento 5 Stelle erano nella stessa maggioranza all’inizio di questa legislatura. A confermarlo è uno studio super partes pubblicato dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani guidato da Carlo Cottarelli e citato da La Stampa. «Il numero complessivo di beneficiari attesi – scrivono Edoardo Bella e Luca Brugnara, autori della ricerca – è stato stimato attorno 290 mila unità nel 2019. Per poi raggiungere le 356 mila unità nel 2021 e infine decrescere sino a 155 mila nel 2028. Tuttavia, le domande di pensionamento accolte nel biennio 2019-2020 sono state inferiori al previsto. L’accesso a Quota 100 è stato riconosciuto a poco più di 193 mila lavoratori nel 2019 (-33,4% rispetto a quelli attesi) per poi raggiungere le 266 mila unità nel 2020 (-18,7%)».
In termini di nuove adesioni, nel 2020 si sono però avuti più pensionamenti di quelli previsti (73 mila, invece di 37 mila)». Forse perché alcuni lavoratori – notano Bella e Brugnara – che potevano andare in pensione nel 2019 hanno usufruito del beneficio solo nel 2020. Anche il target dei beneficiari, come ha spiegato anche il presidente dell’Inps Pasquale Tridico in occasione della relazione annuale dell’Inps, non è stato esattamente centrato. La misura è stata utilizzata prevalentemente da uomini, con redditi medio-alti e con una incidenza percentuale maggiore nel settore pubblico. «Le donne hanno utilizzato meno quota 100. Il 28,8% di tutte le domande accolte al 2020 provengono da lavoratrici, mentre il lavoro femminile rappresenta il 42,5% del totale degli occupati». I lavoratori pubblici «hanno utilizzato Quota 100 più di quelli privati. Il 30,9% delle domande proviene da dipendenti pubblici, più del doppio rispetto alla loro quota sul totale degli occupati (14%)».
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