Coronavirus, gli studi citati al Senato dal Movimento Ippocrate non dimostrano l’efficacia dell’ivermectina
L’intervista telefonica pubblicata su YouTube l’11 settembre da Pier Carlo Lava al primario del reparto malattie infettive dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara, Pietro Luigi Garavelli, presenta tre punti salienti: «non si vaccina in pandemia», perché esisterebbe un «principio di pressione selettiva» che rende i vaccinati responsabili dell’emergere di varianti Covid; la dottoressa Ilaria Capua sarebbe una veterinaria che «non conosce la storia della medicina», altrimenti saprebbe che l’antiparassitario per cavalli ivermectina, sarebbe un farmaco anti-Covid; intanto al Senato italiano si è tenuto un «Covid Summit» (come preannunciato da Garavelli), ovvero un «congresso mondiale» dove diversi medici qualificati avrebbero mostrato che le cure contro il nuovo Coronavirus esistono. A sostenere le proprietà antivirali dell’ivermectina a Palazzo Madama è stata la neurologa Rosanna Chifari Negri, esibendo 31 studi a suo parere «ineccepibili».
Per chi ha fretta:
- A parte il fatto che Ilaria Capua è anche una virologa di fama mondiale, chi meglio di un veterinario potrebbe capire che l’antiparassitario per cavalli ivermectina non è un farmaco anti-Covid? A confermarlo con l’appello «non sei un cavallo. Non sei una mucca. Seriamente, voi tutti. Smettetela» è per esempio l’FDA americana.
- Ancora una volta si confonde l’epidemiologia delle malattie batteriche con quelle dovute ai virus. Si tratta di dinamiche diverse. È fuor di dubbio che le varianti Covid sono emerse ben prima della somministrazione dei vaccini.
- Non esistono farmaci in grado di guarire chiunque dalla Covid. Non esistono ancora terapie domiciliari efficaci. La vaccinazione resta la migliore arma per prevenire le forme gravi della malattia.
Analisi
L’immagine che emerge lungo l’intervista è quella di un gruppo di persone «ignoranti» favorevoli al Green pass, tra cui ci sarebbe la «veterinaria Capua», che negherebbero indebitamente le cure domiciliari contro la Covid-19, trascurando la responsabilità dei vaccini nell’emergere delle varianti. Mentre un altro gruppo, che comprenderebbe il primario Garavelli presenterebbe evidenze scientifiche sull’esatto contrario, e tali prove dovrebbero essere esposte in un «congresso mondiale» al Senato.
Ricordiamo fin da subito che nella realtà, la Comunità scientifica – in ragione di ampi studi sottoposti a revisione – smentisce le affermazioni di Garavelli, che contrariamente a quanto potrebbe sembrare dalla sua narrazione, rappresenta una minoranza di medici, che non si basa su fonti credibili.
Vaccini e varianti Covid
Ne abbiamo già parlato in diversi articoli. Ultimamente anche Matteo Salvini ha sostenuto che le varianti Covid sarebbero causate dai vaccini. Alla base vi è una confusione tra le dinamiche di una epidemia batterica e una virale. In particolare si deforma il concetto di antibiotico-resistenza, trasformandolo in resistenza ai vaccini. Tutto questo non ha senso. Ascoltiamo cosa sostiene in merito Garavelli (dal minuto 02:16):
«Ho visto di nuovo tirata in ballo la mia frase “non si vaccina durante una pandemia” – continua il Medico -. Ed è stata nuovamente sottoposta a stillicidio. Ma a questi che parlano di queste cose senza sapere, ricordo a questo punto che esiste un principio ch’è il principio di pressione selettiva che spiega assolutamente questo concetto. Un virus che si replica seleziona delle varianti che vanno a confrontarsi col soggetto vaccinato. Nei confronti del soggetto vaccinato sopravviveranno e quindi passeranno quelle varianti nei confronti delle quali non è stato montato il vaccino».
I batteri a differenza dei virus si riproducono autonomamente. Proprio nella replicazione c’è la possibilità di mutare, dunque di evolversi. Il vaccino lavora sui virus, che necessitano di infettare le cellule per replicarsi. Ne consegue che le varianti Covid emergono consentendo al virus di propagarsi in una popolazione.
Se dobbiamo interpretare la frase «nei confronti del soggetto vaccinato sopravviveranno e quindi passeranno quelle varianti nei confronti delle quali non è stato montato il vaccino», con l’idea che senza i vaccini nei non vaccinati non emergerebbero le varianti, abbiamo visto che nella realtà è avvenuto l’esatto contrario; tutte le principali varianti sono comparse prima che fossero arrivati i vaccini nei Paesi d’origine. Leggiamo di seguito la cronologia riportata dal genetista Marco Gerdol, con link ai nostri articoli sulle rispettive varianti:
- «Alfa – rilevata per la prima volta in UK il 20 settembre 2020, quando lo 0% della popolazione aveva ricevuto almeno una dose di vaccino»;
- «Beta – rilevata per la prima volta in Sud Africa il 19 agosto 2020, quando lo 0% della popolazione era stata pienamente vaccinata»;
- «Gamma – rilevata per la prima volta in Brasile l’11 settembre 2020, quando lo 0% della popolazione era stata pienamente vaccinata»;
- «Delta – rilevata per la prima volta in India il 23 ottobre 2020, quando lo 0% della popolazione era stata pienamente vaccinata»;
- «Eta – rilevata per la prima volta in Nigeria il 20 dicembre 2020, quando lo 0% della popolazione era stata pienamente vaccinata»;
- «Iota – rilevata per la prima volta a new York il 23 novembre 2020, quando lo 0% della popolazione era stata pienamente vaccinata»;
- «Kappa – rilevata per la prima volta in India il primo dicembre 2020, quando lo 0% della popolazione era stata pienamente vaccinata»;
- «Lambda – rilevata per la prima volta in Perù il 30 novembre 2020, quando lo 0% della popolazione era stata pienamente vaccinata»;
- «Mu – rilevata per la prima volta in Colombia l’11 gennaio 2021, quando lo 0% della popolazione era stata pienamente vaccinata».
L’idea in base alla quale non si vaccinerebbe in piena pandemia la troviamo in precedenti affermazioni, da parte di diversi medici. In nessun caso queste hanno trovato fondamento. Non se ne trova traccia nei manuali medici. La pressione selettiva dei vaccinati di cui parla Garavelli – la cui rilevanza statistica è tutta da dimostrare – non avrebbe luogo se una larga maggioranza della popolazione fosse vaccinata. Logicamente non c’è selezione senza possibilità di mutazione.
Cure domiciliari e ivermectina
Nei confronti di Capua il medico sembra inviperito, tanto da cadere nel personale. Riportiamo di seguito come si riferisce alla Virologa nell’intervista (dal minuto 03:25):
«L’altra cosa che mi ha sconvolto è stata l’affermazione della dottoressa Capua – continua Garavelli – che però non dimentichiamo essere una veterinaria, che ha dichiarato che l’ivermectina è un farmaco pericoloso, che si dà ai cavalli. Purtroppo la dottoressa Capua non conosce neanche la storia della medicina. Nel 2015 Satoshi Ōmura e [William C.] Campbell ebbero il Nobel per la medicina, per la scoperta dell’ivermectina: uno dei farmaci più usati al mondo». A questo punto l’audio non è comprensibile. Sembra che il medico faccia riferimento all’efficacia dell’ivermectina contro «una gravissima patologia dell’Africa tropicale che è la cosiddetta cecità fluviale».
Ōmura e Campbell vinsero effettivamente il Nobel per la medicina nel 2015, assieme alla collega cinese Youyou Tu. I primi due scoprirono un insieme di composti chimici raggruppati nel termine «avermectina», i quali risultano aver ridotto l’incidenza della «oncocercosi», meglio nota come cecità fluviale. Youyou è stata premiata invece per una terapia innovativa contro la malaria.
Non possiamo fare a meno di notare anche in questo caso, che Garavelli sembra accomunare le dinamiche epidemiologiche di una malattia virale con quelle batteriche e parassitarie. Abbiamo visto che non sono la stessa cosa.
Campbell è effettivamente un biologo esperto di parassiti – non un virologo – Acquisite le colture di Streptomyces studiate da Ōmura, scopre un componente efficace contro i parassiti degli animali domestici e da allevamento: l’avermectina, che modificata chimicamente diventa ivermectina. Testata anche sugli esseri umani, si è dimostrata efficace nelle infezioni parassitarie. Uccide i parassiti, non per questo dovrebbe risultare efficace come antivirale. Di certo non è per questo che Campell e collega hanno vinto il Nobel.
I contributi di Ōmura e Campbell hanno sicuramente dato un notevole contributo contro la cecità fluviale, la quale è appunto una malattia dovuta a un parassita – non un virus – il nematode Onchocerca volvulus. Noi non siamo cavalli, nella stessa misura in cui un nematode non è un virus. Garavelli continua descrivendo gli usi medici attuali dell’ivermectina:
«Anche da noi da anni – prosegue Garavelli – usiamo l’ivermectina con pieno profitto a livello umano, per curare tre patologie: la scabbia complicata; la strongiloidiasi disseminata, ch’è tipica di una zona della Pianura padana, tra Novara, Vercelli e Pavia; tutta una serie di altri quadri […] che prendono il nome di loaiasi».
Ancora Garavelli menziona patologie dovute a parassiti. Il Medico non cita esempi di infezioni virali curate con l’ivermectina.
L’intervento di Chifari Negri al Senato
Eppure nel suo intervento al Senato, la Dott.ssa Chifari Negri afferma che diversi studi clinici mostrerebbero l’efficacia dell’ivermectina sui pazienti Covid. Per quanto riguarda le affermazioni diffuse dalla FDA, queste non avrebbero invece fondamento e sarebbero supportate da «zero prove» (come potete leggere in un nostro recente articolo, le cose stanno diversamente). A sostegno delle sue affermazioni cita una analisi sistematica in corso (copia cache), che comprende «63 lavori scientifici randomizzati», di questi 31 sarebbero trial ineccepibili che prevedono un controllo col placebo.
Abbiamo dato un’occhiata a questa trentina di ricerche, effettivamente randomizzate e col placebo, dove dei pazienti Covid hanno effettivamente ricevuto dosi di ivermectina. Il problema è che 14 paper su 31 (soprattutto gli studi pubblicati sulle riviste più prestigiose) non trovano affatto differenze rilevanti tra il gruppo di studio e quello di controllo, o non presentano sufficienti evidenze che dimostrino l’efficacia del farmaco, oppure hanno gruppi piccoli o rimandano a futuri studi più ampi (tra i revisionati, il 4°, 5°, 6°, 9°, 11°, 16°, 18°, 19°, 20°, 22°, 23°, 24°, 28°).
Degno di nota il 25°, che oltre a essere preprint, non trova differenze significative tra gruppo di studio e di controllo. In tutto sono sei gli studi non revisionati (dunque preprint), o che non sembrano affatto studi (oltre il già citato 25° paper: il 7°, 10°, 12°, 17°, 27°, 30°).
Come potrete facilmente constatare il link relativo al codice DOI del 13° studio non è funzionante, sembrerebbe rimosso o ricollocato altrove. Il primo e l’ultimo paper (il 31°) confrontano l’ivermectina rispettivamente con l’idrossiclorochina e la vitamina C. In tre studi sono presenti dei potenziali conflitti di interesse, in due di questi sono dichiarati dagli stessi autori (nel 3°, 15° e 31°).
Restano cinque studi interessanti su 31 ritenuti accettabili da Chifari Negri. Presentano grossi limiti, sia nel numero dei pazienti esaminati, sia nel tipo di misurazioni che è stato possibile eseguire. Spesso gli autori rimandano a futuri studi più ampi (il 2°, 14°, 21°, 26°, 29°). Abbiamo escluso l’8° paper, perché pubblicato dalla casa editrice svizzera MDPI, che ha presentato recentemente delle criticità nel meccanismo di revisione degli studi.
Conclusioni
Le argomentazioni avanzate in merito al farmaco ivermectina e la Covid, per come sono state presentate, non trovano fondamento. I 31 studi esibiti da Chifari Negri al Senato, che li descrive come «trial ineccepibili», in buona parte non sostengono affatto l’efficacia dell’antiparassitario in funzione antivirale.
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