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Eitan Biran, gli zii pronti a partire per Israele: «Andiamo a riprendercelo»

15 Settembre 2021 - 07:19 Alessandro D’Amato
eitan biran guy peleg israele
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«Ci stiamo organizzando per il viaggio, vogliamo riportarlo a casa», dicono Aya Biran e Or Nirko da Travacò in provincia di Pavia. Cosa dice la Convenzione dell'Aja e quali sono i tempi per il ritorno

Shmuel Peleg, nonno materno di Eitan Biran, è agli arresti domiciliari in Israele. Dopo l’interrogatorio della polizia – che è stato condotto dall’unità speciale 433 – il piccolo, unico sopravvissuto alla strage del Mottarone, si trova anche lui a casa del nonno a Petah Tikva, non lontano da Tel Aviv. Nel comunicato della polizia israeliana si dice che Shmuel Peleg al termine dell’interrogatorio è stato rilasciato e sottoposto a misure restrittive. Il sito del quotidiano in inglese Times of Israel a questo riguardo parla esplicitamente di arresti in casa. Anche il sito Ynet, in ebraico, definisce le misure arresti domiciliari, così come il sito in inglese del Jerusalem Post. E gli zii Aya Biran e Or Nirko da Travacò Siccomario in provincia di Pavia sono pronti a partire per Israele: «Ci stiamo organizzando per il viaggio. Vogliamo riportarlo a casa», dicono a La Stampa.

«Eitan prigioniero in un buco»

La polizia israeliana, secondo l’emittente israeliana Kan 11, è orientata a considerare il caso «una vicenda civile più che penale», che verrà gestita dal Tribunale per le questioni familiari di Tel Aviv. Repubblica spiega che è in questo foro che ieri mattina l’avvocato Shmuel Moran ha intentato la causa per la restituzione del minore rapito ai sensi della Convenzione dell’Aja. Causa presentata in parallelo anche presso il tribunale di Pavia, che attiverà i canali istituzionali tramite i ministeri della Giustizia dei due Paesi. «Aya è in procinto di arrivare in Israele per assistere alle udienze — che dovrebbero iniziare entro 15 giorni — e chiederemo che le venga affidata la custodia del bambino anche durante il processo», dice l’avvocato Moran al quotidiano. Ieri lo zio Or Nirko ha detto che la famiglia Peleg tiene Eitan prigioniero «in un buco come fa Hamas con i soldati israeliani a Gaza».

Allo stato non pare che la decisione delle autorità israeliane sia legata a una richiesta o a un mandato d’arresto italiano: «A me risulta che gli sia stato chiesto di restare a disposizione della polizia”, spiega all’agenzia di stampa Ansa il legale di Peleg, l’avvocato Paolo Sevesi, che sta seguendo gli sviluppi dell’inchiesta della procura di Pavia che ha iscritto nel registro degli indagati sia il nonno che la nonna di Eitan per sequestro di persona. I due però ribadiscono la correttezza del loro operato. «Il trasferimento di Eitan in Israele è avvenuto in maniera legale e dopo una consultazione con esperti di diritto», ha detto Peleg, secondo quanto riferito da Gadi Solomon, un portavoce della famiglia. Riguardo all’interrogatorio davanti alla polizia israeliana, Peleg – ha detto il portavoce – ha collaborato «in pieno con gli investigatori ed ha risposto a tutte le domande».

L’Italia e il bambino rapito

Intanto il ministero della Giustizia attende le mosse della famiglia Biran. Repubblica spiega oggi che senza una richiesta della zia di Eitan i ministeri della Giustizia e degli Esteri non possono attivarsi da soli. La Convenzione impone ai giudici dello Stato dove sono stati portati illecitamente i minori contesi, salvo ipotesi eccezionali, di ordinarne il rientro immediato. Ma le autorità italiane non possono farlo d’ufficio. È necessario che il genitore o l’affidatario presenti richiesta. I tempi di chiusura della controversia, che secondo la Convenzione devono essere estremamente ristretti, dipendono dalle autorità israeliane, tenute a pronunciarsi con urgenza sulla domanda di rientro. I tempi dipendono anche dalla complessità del caso e dalla assunzione delle prove.

L’articolo 3 della Convenzione è molto chiaro: il trasferimento o il trattenimento all’estero di minori può considerarsi illecito “quando avviene in violazione dei diritti di custodia assegnati a una persona, istituzione o ente”. Che può chiederne il ritorno dopo una formale richiesta. Mentre l’articolo 29 consente al titolare del diritto di affido di rivolgersi direttamente al competente tribunale per chiedere il rientro del minore sottratto, anche senza l’intermediazione delle autorità centrali. «È’ un’istanza prodromica e preparatrice per un’eventuale attivazione della procedura», ha spiegato l’avvocato Cristina Pagni, che assiste in Italia Aya, assieme ai legali Armando Simbari e Massimo Saba parlando dell’iniziativa della zia paterna del bambino. «C’è ancora in corso una valutazione ed è ancora aperto il tema se ad attivare la procedura sarà l’Italia o Israele», ha chiarito. Potrebbe, infatti, arrivare anche una richiesta dai legali della tutrice che dovrà passare per il Ministero della Giustizia.

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