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Le foto di famiglia diventano patrimonio culturale. Imbriaco: «Le storie di una comunità vanno raccontate» – L’intervista

24 Settembre 2021 - 15:04 Giada Ferraglioni
A Bellosguardo e Atena Lucana, due piccoli comuni del Cilento, alcuni progetti artistici provano a far rivivere realtà locali sotto una nuova luce. Ne abbiamo discusso con il fotografo che ha curato le mostre

Un secolo di vita raccontato attraverso le foto conservate nei cassetti. Pranzi di famiglia, scampagnate tra amici, momenti privati, feste di comunità: a Bellosguardo e Atena Lucana, due piccoli comuni campani del Cilento, stanno per iniziare 5 mostre a cura di Alessandro Imbriaco, fotografo pluripremiato classe 1980 e originario di Salerno. Tra i vari premi che ha ricevuto ci sono il World Press Photo (2010) e l’European Publishers Award for Photography (2012). Stavolta, l’interesse per il contemporaneo che caratterizza la sua opera si intreccia con il peso della storia: insieme a un gruppo di lavoro ha raccolto migliaia fotografie vernacolari e le ha raccolte in un archivio digitale. Le immagini verranno esposte nei centri storici dei paesi, per provare a raccontare le storie delle comunità e per tentare di far rivivere le realtà locali sotto una nuova luce. Una delle mostre, in programma dal 28 settembre al 3 ottobre, si chiama Miss Bellosguardo: una selezione di 12 fotografie private fatta insieme agli abitanti del comune. Per ciascuna di queste è stato realizzato un documentario per raccontare la storia della persona ritratta e della sua famiglia. «Una comunità è fatta dei suoi abitanti e delle loro storie», ha detto a Open Imbriaco. «Che bisogna raccogliere, conservare e raccontare. Perché sono un enorme patrimonio culturale, e come tale va tutelato».

Dal concorso Miss Bellosguardo

Come nasce l’idea di esporre nei borghi le foto di famiglia di chi lo ha abitato?

«L’idea è partita dalla voglia di creare un archivio storico con le foto di famiglia. Nei cassetti e nelle scatole delle scarpe delle persone è conservato un patrimonio enorme. Privato, certo, ma che a oggi può essere valorizzato e catalogato, perché documenta i centri urbani dalla fine dell’800 all’inizio degli anni 2000, quando c’è stato l’avvento del digitale. Oggi nessuno stampa più le proprie fotografie e la produzione degli album di famiglia è fondamentalmente terminata. Bisogna prendersi cura di quelle che rimangono, così come ci prendiamo cura di tutto quello che appartiene alla nostra storia».

Come ha accolto il progetto la comunità?

«Hanno partecipato con entusiasmo. La memoria e i ricordi, così come la voglia di condividerli, hanno ridato vita alle storie del passato e alle persone del presente».

Quali storie sono emerse dalla vostra ricerca?

«Uno degli aspetti più d’impatto è che molti dei soggetti ritratti sono emigrati. Da queste foto si possono ricostruire i flussi migratori degli abitanti di Bellosguardo che hanno lasciato il Paese per andare negli Stati Uniti, in Australia, in Canada. Mandavano le fotografie a casa e le famiglie le conservavano con estrema cura e devozione. Poi dalle foto emerge tutto l’aspetto delle celebrazioni religiose, che ci aiuta a non dimenticare una dimensione della comunità che è stata a lungo centrale».

Dal concorso Miss Bellosguardo

In che modo la fotografia può aiutare a riattivare quei luoghi?

«Portando le storie della comunità fuori dalla loro dimensione privata. Il rischio era quello di alimentare la vena campanilistica dei piccoli comuni, che in questo modo possono chiudersi ancora di più nella rivendicazione della loro identità inamovibile nel tempo. Invece esporre nel centro storico ha avuto l’obiettivo di riattivare quei posti, di farli vivere in modo diverso rispetto al solito. Far emergere anche la propria identità in una luce diversa. Il centro storico di Atena Lucana, ad esempio, è quasi totalmente abbandonato dai residenti. Tornarci, vedere i visi di chi lo ha abitato in passato, riconoscerli…è un’esperienza che ti lega al posto in un modo del tutto nuovo».

Realizzerete il progetto dell’archivio anche in altri comuni?

«Ci stanno arrivando moltissime richieste. Campania, Liguria, Lazio. Questo perché la questione della fotografia vernacolare come patrimonio culturale da condividere e conservare è estremamente sentita e urgente».

Tra i partecipanti al progetto di Atena Lucana ci sono stati gli studenti di fotografia. Che tipo di rapporto hanno instaurato i più giovani con quei luoghi?

«Di estrema curiosità e voglia di capirne di più. Due di loro hanno chiesto ai residenti di poter partecipare alla realizzazione delle tipiche tende anti-mosche. Altre ragazze, che si occupano di grafica, hanno lavorato sulla lingua del posto e hanno realizzato 2 mila tovaglie con sopra stampati i detti che hanno raccolto e le hanno distribuite in giro per il paese. Hanno una grande voglia di riscoprire luoghi e le loro tradizioni con occhi nuovi».

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