Omicidio Ziliani, le figlie ‘tradite’ da una scarpa. Al telefono dicevano: «Ora siamo in vacanza» – L’ordinanza
Quello di Laura Ziliani poteva essere il delitto perfetto. Ma come insegna Alfred Hitchcock nella costruzione di un omicidio sono spesso i particolari minimi a tradire chi cerca di nascondere le prove. E sarebbe andata così, almeno secondo le ipotesi contenute nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita oggi, anche nel caso delle due delle figlie della signora Ziliani, accusate di averla uccisa proprio nel weekend della festa della mamma, l’8 maggio scorso. Secondo la ricostruzione della procura di Brescia e le indagini dei Carabinieri, le giovani, Silvia e Paola, insieme al fidanzato della maggiore, Mirto Milani, avrebbero deciso di uccidere la signora Laura Ziliani per appropriarsi dell’intero patrimonio immobiliare che le due ragazze gestivano in comproprietà con la madre, dopo la morte del padre. Un patrimonio che la signora Ziliani amministrava di fatto a nome di tutti. L’omicidio sarebbe stato programmato per tempo e tentato più volte. Prima del maggio scorso ci sarebbe già stato un tentativo di avvelenamento non andato “a buon fine”: una sostanza velenosa messa nella tisana della mamma appena tornata da una escursione piuttosto impegnativa. Per questo, anche se manca la prova regina, la procura di Brescia ha scelto di agire e chiedere l’arresto dei tre sospettati.
La scarpa nel fiume
In 38 pagine, il giudice delle indagini preliminari Alessandra Sabatucci ricostruisce tutti i dettagli dell’accaduto fin da quando a metà mattina dell’8 maggio scorso, Silvia chiama i carabinieri per dire che la madre, uscita per una escursione in montagna a Temù, nelle montagne bresciane non lontane dall’Adamello, non è rientrata. Le ricerche si concentrano sulla zona della presunta escursione, per otto giorni forze dell’ordine e volontari battono tutta l’area che dalla casa degli Zani arriva fino ad un ruscello. Poi due settimane dopo i fatti, quando le ricerche sono interrotte da tempo, qualcuno all’improvviso trova una scarpa da trekking appartenuta a Laura proprio sulle rive del torrente Fiumeclo. Un tentativo di depistaggio che costerà caro agli indagati di oggi. Perché è impossibile che Laura Ziliani sia caduta nel fiume proprio in quel punto, senza che i ricercatori l’abbiano trovata: a monte del tratto di ruscello, infatti, c’è una diga con una grata che non lascia passare oggetti grandi come la scarpa. E per un lungo tratto la maggior parte del fiume resta interrato, con un piccolo ruscello visibile.
Insomma, la scarpa non è dove doveva essere: «Il ritrovamento della scarpa Salomon – scrive il gip – della Ziliani nel tratto, lungo 850 metri, tra l’uscita dell’acqua della centralina e l’Oglio, poteva trovare un senso solo ed esclusivamente nel caso in cui Laura Ziliani fosse caduta nel torrente nel medesimo tratto. Tale conclusione era tuttavia confutata dal fatto che, come si è visto, il torrente era stato battuto in più occasioni da personale specializzato, che mai aveva notato né il corpo della vittima né la calzatura in questione fino al giorno del suo rinvenimento».
Da questo ritrovamento, l’inchiesta prende una piega completamente diversa e i carabinieri cominciano a credere ben poco alla tesi dell’incidente. Nel frattempo qualche vicino degli Zani parla e uno in particolare nota Silvia e Mirto mentre nascondono in un bosco poco lontano da casa la seconda scarpa. Qualcun altro racconta dei contrasti che la famiglia aveva in particolare sul ruolo di Mirto e si accorge che sia il giovane, sia la sua famiglia di origine, madre e padre, dopo pochi giorni dalla morte di Laura si sono trasferiti in blocco nella casa di Temù e prendono a gestire il patrimonio di famiglia.
Al telefono e in macchina gli indagati sono molto attenti a non rivelare mai nulla di sospetto. Gli inquirenti però notano che, già venti giorni dopo la morte della madre, le due figlie si mostrano particolarmente allegre quando si parla di come riorganizzare il patrimonio, alzare l’affitto agli inquilini o migliorare foto e prezzi per le locazioni ai turisti.
A proposito di un affitto breve, di una settimana, a 900 euro, Silvia esulta felice con la sorella: «Vuol dire tanti soldi e pochissimo sbatti.. Però.. cosa più importante .. così almeno quella settimana lì poi scappiamo … che possiamo praticamente andare in vacanza». In quella conversazione, scrive il gip, «più di ogni altro elemento, mostravano l’assenza di qualsivoglia turbamento in capo alle Zani circa le so11i della madre la cui unica preoccupazione sembrava rivolta agli aspetti “economici” della vicenda».
Gli esami sul corpo
Dopo il ritrovamento del cadavere della Ziliani e i primi esami sul corpo che hanno dimostrato la presenza di barbiturici, anche se non è chiaro come esattamente sia morta la donna, la procura di Brescia ha deciso di chiedere l’arresto dei tre sospettati, tanto più perché avrebbero più volte cercato di nascondere o occultare le prove, lasciando il cadavere della signora Ziliani nel bosco tre mesi dopo la sua morte. Per le giovani, il gip usa parole molto dure: «Va rimarcato come le stesse, in parte manipolate da Milani Mirto, non riuscendo per motivi caratteriali a contrastare la volontà materna, hanno preferito sopprimere la genitrice piuttosto che dissentire apertamente con lei circa la gestione di un cospicuo patrimonio immobiliare. La condotta, già di per sé di indicibile gravità, risulta ancor più odiosa ove si ponga mente al fatto che, così agendo, gli indagati hanno privato L. (la terza sorella ndr) , soggetto disabile e in tutto dipendente dalla madre,· dell’unico genitore superstite».
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