Il referendum berlinese sugli espropri apre il dibattito sul caro affitti: Milano tra le peggiori d’Europa
Un referendum consultivo a Berlino apre il dibattito europeo sul caro affitti. Domenica 26 settembre i residenti della capitale tedesca hanno votato, oltre che per l’elezione del nuovo Bundestag, anche per esprimersi sulla possibilità di espropriare gli appartamenti sfitti dei colossi dell’immobiliare. In tutto nella città ci sono circa 240 mila immobili vuoti di proprietà di grandi aziende private, 113 mila dei quali appartenenti solo all’azienda Deutsche Wohnen. Oltre un milione di persone, circa il 56% del totale, si è detta a favore della nazionalizzazione delle case. Il risultato del referendum non è vincolante, ma pone alla nuova legislatura – e alla nuova sindaca della città Franziska Giffey – un problema ormai inaggirabile. Il tema non è solo locale: già prima dell’esito del voto, l’iniziativa del comitato “Deutsche Wohnen & Co enteignen” è risuonata in diversi Paesi europei – tra cui Francia e Italia – dove ormai da tempo si combatte con una Mietenwahnsinn, la «follia degli affitti».
La situazione a Berlino e in Germania
I prezzi degli affitti a Berlino sono un grande problema per gli abitanti della città. Nel 2017 la capitale tedesca ha registrato il rincaro più alto di tutto il resto del mondo, con un aumento del 20,5% dei prezzi immobiliari nel giro di 12 mesi. Andando ancora più indietro nel tempo, dal 2004 al 2021 il prezzo medio di un’abitazione berlinese è cresciuto del 120%. Il motivo dell’impennata dei costi è strettamente legato al numero di case sfitte di proprietà delle grandi aziende (quelle, cioè, che possiedono più di 3 mila stabili). Tenerle vuote consente al mercato di mantenere alta la domanda, e permette alle società di giocare a rialzo sui prezzi. Il rincaro degli affitti ha messo sotto pressione la stragrande maggioranza delle persone, dato che a Berlino circa l’80% dei residenti vive in una casa non di proprietà. In generale, oltre la metà dei tedeschi vive in affitto – solo il 45% risiede in una casa propria, contro quasi l’80% degli italiani- e il problema si ripropone anche in città come Amburgo, Francoforte e Monaco. «Non vogliamo diventare come Londra e Parigi, dove le persone normali con uno stipendio normale non possono più permettersi di vivere in città», hanno detto alcuni attivisti prima del referendum.
Eppure, la soluzione non sembra dietro l’angolo. L’ormai ex sindaco Michael Müller aveva provato a contenere il fenomeno varando una legge che prevedeva un tetto massimo per gli affitti, ma il provvedimento era stato annullato dalla Consulta perché ritenuto incostituzionale. Un provvedimento di tale portata, avevano dichiarato i magistrati, poteva essere stabilito solo a livello federale. La neosindaca dell’Spd Franziska Giffey si è già detta contraria all’esproprio, in accordo con i principali partiti d’opposizione e in disaccordo con la sinistra di Linke e i Verdi. L’argomento potrebbe diventare un nodo importante nelle alleanze tra i partiti nelle settimane in cui la Germania sarà chiamata a definire la coalizione di governo. Ma se è vero che gli ostacoli politici e giuridici rendono la strada in salita, è altrettanto vero che il referendum alza il velo su un problema comune a diverse città europee.
Parigi e gli affitti stagionali
Anche Parigi, capitale francese, fa i conti con un’offerta che non soddisfa la domanda. A differenza di quanto accade in Germania, il problema non è strettamente legato alle società immobiliari che lasciano vuoti gli appartamenti, bensì alla crescita del numero di affitti stagionali o temporanei – specialmente tramite Airbnb o altre piattaforme. Nel 2019 il 17,5% delle case parigine era riservato agli affitti a breve termine, rispetto al 14,1% del 2011. Anche qui la politica ha provato a fissare un tetto massimo dei costi nel 2017, ma uno studio di Meilleuragents.com risalente al 2018 ha mostrato come la regola non sia rispettata: il 46% dei monolocali e il 40% dei bilocali o trilocali costano ancora di più di quanto dovrebbero. L’aumento dei prezzi ha messo in difficoltà i lavoratori che non hanno grandi capitali (né garanti) alle spalle, che sono i primi ad essere scartati dalle agenzie che ogni giorno hanno a che fare con decine di candidati.
Milano resta cara anche dopo la pandemia
Un’altra città vittima del caro affitti è Milano. Stando ai dati del 2017 (quindi precedenti al Covid-19), nel capoluogo lombardo ci sono circa 70 mila alloggi sfitti che, sul modello berlinese, contribuiscono a far salire il dislivello tra domanda e offerta. A Milano, dove il costo medio della camera singola è il più alto d’Europa, nemmeno la pandemia ha contribuito a un abbassamento dei prezzi. Il costo di un monolocale in affitto resta attorno ai 900 euro di media, e le stanze singole restano su una media di oltre 530 euro. Nemmeno in questa campagna elettorale Giuseppe Sala si è speso troppo per arginare il problema. Ma l’urgenza di affermare un diritto all’abitare è stata sancita anche dalle Nazioni Unite: lo scorso maggio l’Alto commissario per i diritti umani è intervenuto per chiedere allo Stato italiano di congelare l’esecuzione di uno sfratto a Roma ai danni di una donna e dei suoi due figli. Non è chiaro dove condurrà l’esperienza del referendum di Berlino, ma quel che è certo è che punta i riflettori su un problema europeo rimasto latente per troppo tempo.
Immagine di copertina: EPA/FILIP SINGER
Leggi anche:
- Danni collaterali – Il virus e il sogno spezzato degli studenti che lasciano le grandi città: «Sono finiti i lavoretti, ma gli affitti restano cari»
- Coronavirus, la storia di Maicol, 30 anni. Tra bollette, affitti e fornitori da pagare: «Non so se riuscirò a riaprire il mio bar» – Il video
- Affitti a studenti, stanze singole e doppie sempre più care: la stangata per chi sta cercando casa – L’intervista
- Regno Unito, millenial senza futuro: entro la pensione prezzi degli affitti insostenibili
- I sindaci contro Airbnb: perché le città si ribellano al colosso degli affitti brevi