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Gli hacker e il ricatto dell’acqua e del vino: «Pagate 30 mila euro o avveleniamo tutto con il cianuro»

30 Settembre 2021 - 07:43 Redazione
attacco hacker vino acqua cianuro
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Aziende vitivinicole e imbottigliatrici hanno ricevuto un'email con la richiesta di pagare una somma in Bitcoin. Altrimenti...

Alcune aziende vitivinicole e imbottigliatrici di acqua italiane hanno ricevuto un’email in cui si chiedevano 30 mila euro in Bitcoin per non avvelenare i loro prodotti con il cianuro. La procura di Roma, fa sapere oggi il Messaggero, ha aperto un’inchiesta per tentata estorsione e ha dato l’incarico di indagare al Cnaipic. Le denunce arrivate a polizia, carabinieri e Guardia di Finanza ammontano a un centinaio. Secondo il quotidiano il progetto criminale di avvelenare le bottiglie di vino o acqua non è così complicato mentre sarà molto difficile individuare il mittente delle email con il ricatto. Tanto che gli amministratori delegati di alcune aziende volevano pagare i 30 mila euro per evitare problemi, ma sono stati fermati dalla polizia. Inquirenti e investigatori hanno cercato di capire il paese di provenienza dell’invio delle mail. Dopo alcuni giorni di lavoro gli agenti della polizia postale sono arrivati alla Russia (come nel caso del Lazio).

Ma non c’è ancora la certezza che da Mosca siano state spedite le missive. Per ora si tratta di indizi, anche perché la possibilità di servirsi di server piazzati all’estero per schermare il reale Paese di origine da cui si inviano le mail è una pratica spesso utilizzata dai pirati informatrici. Di certo è anche possibile che si tratti di una semplice boutade. Ma dopo ciò che è accaduto ai sistemi informatici della Regione Lazio, mandati completamente in tilt tra fine luglio e i primi di agosto, con la richiesta di pagare per riaccendere tutto, gli investigatori ci vanno con i piedi di piombo. Di certo cedere non è mai una buona idea. L’80% di chi paga, afferma il rapporto Cybereason Global Ransomware Study dello scorso giugno, è poi colpito da un secondo attacco, nella metà dei casi da parte degli stessi soggetti del primo. Lo studio è basato su interviste a 1263 esperti di sicurezza informatica in Usa, Gran Bretagna, Spagna, Germania, Francia, Emirati Arabi Uniti e Singapore .

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