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Youth4Climate, richieste concrete contro promesse vuote: così i giovani attivisti del clima sfidano i governi

30 Settembre 2021 - 18:16 Giada Ferraglioni
Riforme radicali e impegni nel breve periodo: i leader mondiali hanno ascoltato le proposte di 400 ragazzi e ragazze in vista della Cop26. Ma saranno in grado di rispettare gli impegni?

Un enorme struzzo fuori dal Mico e slogan da corteo sotto il palco della plenaria dello Youth4Climate. Forse nemmeno gli organizzatori del forum giovanile sul clima, tenutosi a Milano dal 28 al 30 settembre, si aspettavano di trovarsi davanti a temi così radicali. Greta Thunberg che fa il verso ai leader mondiali («sento solo bla bla bla»); la delegazione brasiliana che fa partire un minuto di silenzio per gli attivisti indigeni uccisi nel Paese; l’ugandese Vanessa Nakate che chiede soldi a fondo perduto per le popolazioni africane e asiatiche più colpite dagli effetti della crisi climatica; la delegazione francese che pretende lo stop definitivo all’industria fossile entro i prossimi 9 anni. Nel fare gli onori di casa, il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani si è trovato tra le mani una platea composta da centinaia di giovani sul piede di guerra. E per sopravvivere alla tre giorni di incontri, i leader della PreCop26 hanno dovuto prendere familiarità con il modus operandi degli attivisti.

Dopo una prima giornata di spaesamento, piena di discorsi freddi e burocratici, i grandi nomi hanno rotto le righe e hanno adottato un atteggiamento più informale. Giravano tra le sedie dei presenti, accettavano ogni tipo di domanda dagli attivisti. Ma solidarizzare con questioni come anticolonialismo, anticapitalismo e cooperazione internazionale non è una passeggiata. E non basta dire, come ha fatto Boris Johnson durante la plenaria del 30 settembre, che «i giovani hanno tutto il diritto ad essere arrabbiati».

Un impegno (troppo?) radicale per governi

Le domande che si aprono alla fine dello Youth4Climate sono ingombranti: i leader del G20 prenderanno davvero posizione contro il gas naturale fossile, mettendo in discussione progetti del calibro di Tap e EastMead (nei quali è coinvolta anche l’Italia) e mettendosi contro aziende come l’Eni? In che modo affronteranno la crisi umanitaria legata al disastro climatico, che nei prossimi anni provocherà un aumento significativo delle migrazioni verso i Paesi più ricchi? Ci saranno o non ci saranno i fondi promessi per sostenere le popolazioni in difficoltà? Su una cosa Nakate e Draghi si sono trovati d’accordo: i numeri della povertà nel mondo sono peggiorati per colpa della crisi climatica. Sono quasi 100 milioni le persone che nel mondo non hanno i servizi sufficienti per vivere una vita dignitosa. In merito alla risposta del G20 all’emergenza umanitaria, il presidente del Consiglio italiano ha parlato di un Climate Funding Plan da 100 miliardi di dollari.

Fuori e dentro i palazzi

Per ora, gli attivisti restano scettici. «Vedremo», hanno detto Martina Comparelli, Nakate e Thunberg dopo l’incontro con lui in prefettura a Milano. Ma è già chiaro che le istituzioni sono pronte ad ascoltare solo una parte del discorso. Greta, arrivata in Italia per partecipare sia al Youth4Climate che allo sciopero per il clima fuori dai palazzi, ha già criticato l’opera di cherry-picking di attivisti operata dalle istituzioni, pronti ad ascoltare solo i «manifestanti di Serie A» e a lasciare fuori dalla porta chi protesta nelle strade – come la Climate Open Platform e i ragazzi e le ragazze di Fridays for Future. Alcuni di loro sono stati anche contenuti dalla polizia antisommossa mentre manifestavano pacificamente, mentre ad altri sono stati chiesti i passaporti.

Le proposte dal forum di Y4C

Nonostante la divisione “dentro il Mico/ fuori dal Mico”, le delegazioni di attivisti che hanno preso parte all’evento non sono state più generose con i leader presenti. Nei momenti di confronto nella plenaria, alcuni di loro non hanno risparmiato critiche e provocazioni alle istituzioni. Una delle giovani delegate che ha chiuso i lavori il 30 settembre, ha chiesto ai leader come possano parlare di transizione ecologica con le auto elettriche se milioni di persone nel mondo non hanno elettricità. La delegata libanese si è lanciata in una critica alla comunità internazionale, che ha lasciato solo il suo Paese dopo l’esplosione al porto di Beirut nell’agosto del 2020. Il Libano è anche uno degli Stati che più fatica a garantire una copertura elettrica costante e affidabile ai suoi cittadini, e gli attivisti lamentano di non essere ascoltati nemmeno dai loro ministri.

Il tema dell’inclusività e della giustizia sociale ha permeato tutte le room del forum. Tra gli argomenti affrontati c’è stato proprio quello dell’istruzione: la richiesta ai governi è quella di promuovere un’educazione climatica che superi anche le barriere linguistiche tra i Paesi, e che metta tutti e tutte nelle condizioni di agire per il clima. La delegata della Polonia ha ipotizzato una scadenza per inserirla nelle scuole: il 2025. Un obiettivo che per molte aree del mondo sembra pura fantascienza. Come ha fatto notare una delegata del Vietnam, moltissimi ministri di Paesi come il suo non sono nemmeno presenti al vertice. «Come si fa a coinvolgere la politica?», è una delle domande più ricorrenti. E quel che è emerso nel corso degli incontri è la conferma dello scetticismo annunciato da Greta in apertura dei lavori: molti leader mondiali non ascoltano e non hanno interesse a farlo. Ora sta alle Nazioni Unite mantenere la promessa di Alok Sharma: fare della Cop26 di Glasgow «l’edizione più inclusiva mai fatta».

Immagine di copertina: ANSA/LUCA SIGNORELLI

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