Il piano B di Salvini sotto assedio: lasciare la Lega e farsi un partito tutto suo
Questi non hanno capito che i voti ce li ho io, sono stato io a prendere un partito al 5 per cento e portarlo al picco del 40 e stabilmente sopra il 20». Nelle parole dal sen fuggite che oggi l’Espresso attribuisce a Matteo Salvini c’è tutta la – comprensibile – arrabbiatura del Capitano. Per una situazione interna che gli sta sfuggendo di mano e per le polemiche che ruotano intorno al caso di Luca Morisi. Ed è piuttosto chiaro con chi ce l’abbia il segretario della Lega quando parla di «questi»: sono quelli che negli anni in cui lui riprendeva in mano le macerie della Lega dopo Umberto Bossi stavano semplicemente a guardarlo. Forse in attesa che la svolta sovranista fallisse, forse semplicemente scettici sulla possibilità di risollevare davvero il Carroccio dalle secche in cui lo aveva lasciato il caso Belsito.
«Prima gli italiani»
Sono gli stessi che hanno poi beneficiato del successo elettorale del 2018 e che sono entrati nel primo governo Conte, quello in cui la Lega e il MoVimento 5 Stelle erano alleati. Gli stessi che poi hanno messo sotto accusa il Capitano quando lui, dopo il trionfo delle elezioni europee, ha sbagliato il calcolo politico con la crisi del Papeete, puntando alle elezioni e sottovalutando la possibilità che il Partito Democratico e il M5s si accordassero per evitarle, lasciando il Carroccio a piedi e lui in balia delle critiche dei governisti della Lega. Proprio quelli che poi hanno spinto il Capitano all’entrata nel governo Draghi, che sta facendo perdere la leadership della protesta in favore di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni.
Così, spiega oggi l’Espresso, in vista del voto delle amministrative e della possibile richiesta di un congresso per fare una conta interna dopo risultati elettorali che non saranno certo brillanti dal momento che in molti Comuni non c’è nemmeno il simbolo della Lega e i candidati scelti sono dati per perdenti, l’ex ministro dei porti chiusi ha radunato alcuni suoi fedelissimi e iniziato a sussurrare alle sue truppe, soprattutto ai tanti arrivati in Lega nelle ultime ore dall’Emilia Romagna in giù, di tenersi pronti a una exit strategy. Alla quale lui, d’altronde, ha lavorato in questi anni senza fare troppo rumore e forse prevedendo che prima poi la resa dei conti interna alla Lega (Nord) sarebbe arrivata. Una svolta che parte da un nuovo partito dal sapore trumpiano: «Prima gli italiani».
Il piano A, il piano B
Secondo questo nuovo scenario quindi Salvini da un lato potrebbe cedere la Lega a Giancarlo Giorgetti e ai governatori del Nord. Dall’altro potrebbe lanciare il suo partito con un simbolo e uno slogan già registrato da tempo attraverso il suo avvocato Christian Manzoni. Scritta bianca con sfondo blu, lo stesso di “Salvini premier”. Due marchi gestiti da Salvini, e non dalla Lega, che quindi può prendersi tranquillamente. E il Capitano potrebbe tentare il blitz e prendersi pure il simbolo “Lega per Salvini premier”, in mano al partito ma nemmeno registrato ancora formalmente al ministero dello Sviluppo economico e con uno statuto così confuso da lasciare aperta la porta allo scippo. Anche se il nuovo partito di Matteo sarebbe un partito personale. E di questi tempi non è che ci sia stata una così grande fortuna per questo tipo di aggregazioni.
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