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Il lato oscuro del caso Morisi: l’ipotesi del ricatto dei due escort e della lite sui soldi per la droga

luca morisi escort ricatto petre
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L'ombra di un ricatto dietro la vicenda di Luca Morisi e della droga ritrovata nella cascina a Belfiore. Le contraddizioni dell'escort di etnia rom e il mistero del quarto uomo

Perché l’escort Petre R., che ha dichiarato di essersi sentito male a casa di Luca Morisi nella cascina di Corte Palazzo a Belfiore, ha chiamato i carabinieri invece di un’ambulanza? Perché nella prima telefonata ai militari lo stesso cittadino rumeno ha esordito dicendo «Ci hanno fatto un furto»? Una lite sui soldi – i famosi 1.500 euro che Morisi non sarebbe riuscito a versare a causa di un problema con la carta di credito – ha generato la fuga dei due ragazzi (l’amico di Petre si fa chiamare Alexander) dalla casa? Perché la chiamata ai carabinieri non è annotata a verbale? A cinque giorni dallo scoppio il caso Morisi assomma ancora più misteri. E l’ombra di un ricatto comincia a farsi sempre più pesante dietro una storia dai contorni sempre più confusi. E nella quale un ruolo decisivo lo avranno le indagini su come è arrivata la droga a casa dell’ex capo della comunicazione della Lega.

Chi indaga infatti sta cercando di svelare l’identità del pusher che ha portato la “droga liquida” (e la cocaina?) a Corte Palazzo. Per ora è indagato per cessione di droga soltanto Morisi. Ma, spiega oggi Il Fatto Quotidiano, l’indagine sullo spacciatore potrebbe allargare lo scenario. Perché la cosiddetta droga dello stupro, ovvero il Ghb, non si trova facilmente. Per questo la pista potrebbe arrivare fino a Milano, dove vivevano Petre e il suo amico. Il quotidiano sostiene che in città alcune famiglie rom siano il punto di riferimento per la vendita di Ghb e Gbl. Ma i carabinieri intervenuti il 14 agosto non hanno sequestrato i cellulari dei partecipanti alla festa. Gli inquirenti lavorano anche a una seconda opzione: il favoreggiamento della prostituzione riferito al primo romeno che avrebbe preso i soldi di Morisi e poi girato una parte al secondo ragazzo. Un’ipotesi che emergerebbe dalle interviste rilasciate ai giornali. E che, spiegano in Procura, non è detto sia veritiera, viste le contraddizioni del ragazzo.

Petre R. è un ragazzo di 20 anni che vive a Milano e lavora come escort. Sui social network, fa sapere La Stampa, si presenta così: «Bisessuale, gigolo, Rom, per tutti. Età 19, altezza 1,75. Lingue: spagnolo, castigliano, italiano, russo». Dice di aver trovato la “droga liquida” in casa di Morisi: «È stato lui a offrirla a me e al mio amico contattato su Grindr. Doveva pagarci 4 mila euro, da dividere in due. Quando siamo arrivati a casa sua ci ha dato la droga dello stupro. Non ci ha obbligato, all’inizio ci siamo anche divertiti. Ma alla fine Morisi non ci voleva pagare e io sono stato male». La versione di Morisi è opposta: «È stato lui a portare la droga liquida. Non ho commesso al#cun reato». Quella droga era un regalo o faceva parte dei 4mila da pagare? Ed è stata portata via da Petre perché Morisi non ha saldato il conto? Secondo il quotidiano poi è stato Morisi ad indicare lo scaffale tra i libri ai carabinieri per fargli trovare la cocaina. Chi l’ha portata? C’entra qualcosa il quarto uomo?

Il quarto uomo e Alexander

L’ultimo mistero è quello che ruota intorno alla presenza della quarta persona sulla scena. Nelle carte delle indagini non ce ne sono tracce. Ma i vicini di casa di Morisi, che hanno parlato con i giornalisti subito dopo lo scoppio del caso, dicono di aver notato una Bmw nera proprio in quei giorni attorno alla casa di Belfiore. E ricordano un uomo di mezz’età, «sui cinquant’anni», che addirittura entrava a casa del guru senza suonare alla porta perché aveva le chiavi. Però è certo che da Milano siano partiti soltanto in due: Petre R. e il suo amico. Uno con un cappellino da baseball rosso in testa, l’altro con uno zainetto. Il dato di fatto è che quando i carabinieri arrivano – nessun controllo di routine, dunque – trovano in strada i due ragazzi e l’ex social manager leghista. Quando perquisiscono l’auto, trovano la boccetta con la presunta droga nello zaino del ventenne: «Viene dalla casa di Morisi, quella roba è sua ma non so chi l’ha messa nel mio zaino, uno dei due che era con me direi», dice il romeno.

Nessun reato viene invece ipotizzato nei confronti dell’altro ragazzo, quello che Morisi aveva contattato su una chat di incontri. «A quel povero ragazzo avete rovinato la vita», dice all’agenzia di stampa Ansa Petre riferendosi all’amico e poi tronca ogni discorso su quella notte: «Lasciatemi stare, mi state rovinando e creando problemi con la mia famiglia». Intanto oggi la Repubblica fa sapere che l’amico di Petre si chiama Alexander e, come lui, ha diversi profili su chat di escort gay con foto assai esplicite. Sono piuttosto conosciuti a Roma e a Milano come escort che si muovono in coppia. E, spiega il quotidiano, anche per un’altra particolarità: «A un certo punto delle serate chiedono più soldi di quelli pattuiti, e se ti rifiuti ti minacciano di chiamare la polizia, o comunque di rovinarti pubblicamente». È quello che potrebbe essere accaduto anche nell’appartamento di Morisi?

«Io derubato da Morisi»

Anche il Corriere della Sera oggi accredita l’ipotesi del ricatto nella vicenda Morisi. E lo fa raccontando che nelle prime dichiarazioni ai militari proprio Petre avrebbe spiegato di essere stato derubato da Morisi che non gli aveva pagato la prestazione sessuale nonostante avessero pattuito la consegna di altri 1.500 euro. Questo conferma il racconto di qualche vicino sul fatto che nella casa fosse scoppiata una lite. Ma il sospetto è che in realtà i due giovani abbiano portato la droga liquida e di fronte al rifiuto di Morisi di dar loro una cifra più alta di quella stabilita lo abbiano ricattato minacciando di chiamare i carabinieri. Come poi è effettivamente accaduto. Secondo il quotidiano dunque la telefonata al 112 sarebbe la vendetta per non aver ottenuto una somma più alta, peraltro nella consapevolezza che nel flacone c’era una modica quantità di Ghb e dunque il rischio di avere guai con la giustizia era comunque minimo. «È una modalità che abbiamo rilevato in numerosi casi analoghi», conferma un investigatore.

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