L’inesistente studio che «demolisce» il protocollo di paracetamolo e vigile attesa contro i sintomi lievi della Covid
Come per l’articolo sullo studio che “demolirebbe” il Green pass, Il Secolo d’Italia riprende un altro pezzo de La Verità. Stavolta si parla di una ricerca che “demolirebbe” il paracetamolo per i positivi al nuovo Coronavirus in vigile attesa. Nello sfondo c’è sempre la critica dell’operato del Ministero della Salute e del ministro Roberto Speranza. Il problema è che il paper non è uno studio controllato in doppio cieco (ovvero con due gruppi di pazienti sottoposti al test, ciascuno dei quali non conosce il tipo di trattamento a cui è stato assegnato), bensì una lettera che suggerisce diverse ipotesi senza alcuna “sentenza”. Chi lo ha diffuso come uno “studio” doveva leggerlo, soprattutto nelle ultime righe.
Per chi ha fretta:
- Le linee guida europee basate su ampi studi riconoscono utilità e sicurezza del paracetamolo nel più ampio contesto della vigile attesa.
- Le cure domiciliari alternative proposte mediante iniziative pubbliche non sostituiscono la comunità scientifica.
- Le pubblicazioni che presentano dati surrogati ad altri sono legittime, ma non vanno confuse – come in questo caso – con gli studi controllati veri e propri.
Analisi
Partiamo dalla fine. Chi ha sostenuto che si trattasse di uno “studio” doveva leggere la nota finale presente nel sito dove è stata pubblicata la lettera: «This is not a Research Paper».
Teoricamente bastava leggere anche in alto, a partire dalla presentazione.
Il “documento scientifico” a cui si fa riferimento è una lettera all’editore pubblicata sul Journal of Medical Virology.
«Gli interrogativi si moltiplicano – continua La Verità – così come le ricerche e le comunicazioni scientifiche che sollevano pesanti dubbi sull’uso del paracetamolo. L’ultima […] ha confermato i sospetti sul paracetamolo».
«Il paracetamolo aumenta il rischio di evoluzione negativa del Covid. L’effetto del paracetamolo è quello di ridurre le scorte di glutatione, una sostanza naturale che agisce come antiossidante».
«La carenza di questa sostanza può portare a un peggioramento dei danni legati all’infiammazione causata dall’infezione da coronavirus – continua Il Secolo – Il glutatione è il principale degli antiossidanti prodotti dall’organismo, che aiutano a combattere i radicali liberi».
«Dunque, nel mirino degli scienziati finisce proprio il paracetamolo: l’ingrediente principale della ricetta Speranza sulle cure domiciliari».
Cosa sono i dati surrogati e perché è rischioso farne uso
La lettera è puramente teorica e non fornisce informazioni frutto di una ricerca diretta. Il dato sul glutatione (GSH), il cui consumo peggiorerebbe a seguito dell’assunzione di paracetamolo, è frutto della citazione di un lavoro dell’ottobre 2020. Da questo, i ricercatori autori del testo traggono l’ipotesi che aumenti il rischio di una esacerbazione della Covid-19 nei pazienti trattati precocemente con sintomi lievi.
«La riduzione del GSH è una condizione particolarmente grave per la risposta antiossidante e antinfiammatoria dell’individuo ed è comprensibile che il suo esaurimento sia cruciale per il peggioramento del COVID-19», continuano i ricercatori citando un altro lavoro (Zhang et al).
La tesi in base alla quale il paracetamolo peggiorerebbe le condizioni dei pazienti precoci è dedotta da una ipotesi sul glutatione. L’uso di dati surrogati, come abbiamo visto in precedenti articoli (qui, qui e qui), è sempre rischioso: sostituisce il dato diretto sperimentale con ipotesi basate su altri contesti.
Il presunto riferimento al Movimento delle «cure» domiciliari
A chi si riferiscono gli autori della lettera quando parlano di proteste civili per curare meglio la Covid a casa?
«Nonostante alcune sagge raccomandazioni – continuano i ricercatori – Linda Geddes ha parlato del “paradosso della febbre”, riportando quanto paracetamolo è stato abusato nel mercato sanitario per affrontare i sintomi di COVID-19 nel suo sviluppo iniziale e prevenire affollamento nei ricoveri. In Italia, una protesta civile da parte di alcuni medici, professionisti e medici di famiglia, sta ampliando il dibattito, anche in politica, su come trattare al meglio il COVID-19 a casa».
L’unica protesta civile che coinvolge anche dei medici è quella dei movimenti sulle cure domiciliari: si basano su protocolli non supportati da studi seri, come avevamo visto in precedenti articoli (qui, qui e qui).
Il paracetamolo aumenta i ricoveri in terapia intensiva?
I ricercatori citano quindi una ricerca osservazionale (Suter et al.) dove si mostrerebbe un incremento nel rischio di ricovero con l’assunzione di paracetamolo:
«L’uso del paracetamolo a casa per trattare i sintomi lievi del COVID-19, in particolare negli anziani con comorbilità, ha notevolmente aumentato il rischio di ricovero per dispnea da polmonite interstiziale, aumentando così l’enorme preoccupazione dell’affollamento delle unità di terapia intensiva. Possibili cause di questa esacerbazione potrebbero essere l’attivazione di meccanismi protrombotici, attualmente segnalati come la principale causa patogenetica di COVID-19».
Dopo una breve disamina sul mercato del paracetamolo in Italia, gli autori insinuano una correlazione tra farmaco, ricoveri e decessi per Covid di pazienti anziani:
«Certamente, sarebbe particolarmente imbarazzante affermare che l’enorme aumento dei pazienti anziani che entrano nelle unità di terapia intensiva, o il numero di decessi per distress respiratorio acuto e grave da COVID-19, possa avere la fonte causale nell’assunzione di solo paracetamolo durante il soggiorno a casa – continuano i ricercatori – in attesa di un’ulteriore consulenza medica o sperando nella scomparsa dei sintomi dolorosi. Tuttavia, sembra indubbiamente confermato che i pazienti che usavano il paracetamolo come terapia domiciliare elettiva nella fase iniziale dell’infezione da SARS-CoV-2, avevano un rischio maggiore di essere ricoverati».
Tutto questo sembra omettere il contesto. Chi resta a casa è un paziente con sintomi lievi. Ci aspettiamo già dei ricoveri nei pazienti anziani: sono quelli con un rischio maggiore di avere decorsi gravi. Per tanto, considerare l’assunzione di paracetamolo come un fattore di rischio (di oltre il 65% secondo gli autori) sembra piuttosto affrettato. Di certo i ricercatori non parlano di un collegamento causale accertato.
Chi sono gli autori della lettera
Andrea Capocci riporta, in un articolo su Il Manifesto, che i principali autori della lettera (Sergio Pandolfi, Vincenzo Simonetti, Giovanni Ricevuti e Salvatore Chirumbolo) «hanno legato il loro nome a pratiche mediche molto controverse come l’”ozonoterapia”: un trattamento proposto per la cura di tantissime patologie – dal cancro al diabete e persino al Covid – ma su cui la comunità scientifica nutre forti dubbi, per usare un eufemismo. Chirumbolo vanta anche una lunga militanza nel campo dell’omeopatia, da cui oggi si è allontanato».
Ricevuti e Chirumbolo risultano effettivamente tra i firmatari di un precedente studio sulla ozonoterapia per il trattamento della Covid-19, che avevamo analizzato anche noi in un precedente articolo, dove esaminavamo le fallacie scientifiche di questa pratica, anche per i potenziali eventi avversi.
Che l’omeopatia sia una pseudo-scienza l’avevamo già visto (per cominciare potete leggere qui, qui, qui, qui e qui). Parliamo quindi di ricercatori che hanno approcciato anche le medicine alternative, ovvero non dimostrate scientificamente. Chirumbolo – ex «sodale di Bellavite» (noto sostenitore dell’omeopatia) – vanta effettivamente di essere «il primo laureato specialista ad essere stato assunto da un Ateneo Italiano per la ricerca sulle alte diluizioni e l’omeopatia».
Conclusioni
Il paracetamolo fa parte del gruppo di farmaci ad azione analgesica e antipiretica. Viene indicato come prima scelta nel trattamento di febbre e dolore dalla maggior parte delle linee guida vigenti nell’Unione europea. La letteratura di qualità in merito è piuttosto ampia. La vigile attesa più in generale, non riguarda il solo paracetamolo. Si prevedono interventi differenti e sorveglianza costante, a seconda dello stato di avanzamento della malattia.
È legittimo che dei ricercatori presentino, tramite lettere alle riviste scientifiche, le loro perplessità, suggerendo visioni alternative, ma questo genere di documenti non vanno confusi con le ricerche controllate, le meta-analisi o revisioni sistematiche della letteratura scientifica, o gli ampi studi epidemiologici. In generale, suggerire o ipotizzare non significa accertare.
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