Ballottaggi, D’Alimonte scommette su Gualtieri a Roma. Pregliasco: «A Torino Lo Russo ha più margini di crescita»
I ballottaggi a Roma e Torino, le due città un tempo simbolo dell’exploit del Movimento 5 Stelle? «Andranno al centrosinistra. A Roma vince Roberto Gualtieri di sicuro». Non ha dubbi Roberto D’Alimonte, politologo ed esperto di sistemi elettorali. «Giorgia Meloni non sarà contenta di queste mia parole e di questa certezza, ma per la Capitale posso usare l’indicativo», dice il professore a Open. Anche se Roberto Gualtieri, il dem in lizza per la corsa al Campidoglio, «non è un candidato di grande fascino, secondo me con Michetti non avrà problemi». Il giorno dopo la tornata elettorale è, ovviamente, quello delle analisi e dei pronostici per il futuro. E se in alcune città italiane, Milano inclusa, la sfida si è risolta senza grandi discussioni, due delle tre capitali d’Italia che andavano al voto il 3 e 4 ottobre dovranno affrontare il ballottaggio. Scontato a Roma, dice il professor D’Alimonte, più incerta a Torino. «Non mi sbilancio come su Roma», spiega l’esperto, ma il fatto che il candidato del centrosinistra, Stefano Lo Russo, abbia superato il 43% «e sia davanti al suo sfidante è un fatto positivo per lui». Anche perché in questo caso il nome del centrodestra, a differenza di quanto accade a Roma, prosegue l’esperto, «è quello di un candidato forte. Se devo fare una previsione dico che anche a Torino è più probabile che vinca Lo Russo rispetto a Paolo Damilano».
Le incognite
I candidati del centrodestra – Enrico Michetti, avvocato, professore di Diritto degli enti locali all’Università di Cassino e conoscitore della vita amministrativa della Capitale, e Paolo Damilano, imprenditore e produttore di Barolo, a Torino – sono al momento, per loro storia, ancora un’incognita politica. «Dovranno cercare di tenere insieme quella che possiamo definire una coalizione di voti per arrivare al 50% +1», dice Lorenzo Pregliasco, docente all’Università di Bologna e fondatore di YouTrend. Per Torino «questo significa confermare i segnali buoni arrivati per Damilano dalle aree centrali». Dall’analisi delle mappe del voto in città, il candidato del centrodestra – rispetto allo storico della sua coalizione negli ultimi anni – «è andato molto bene in centro e in altre zone benestanti: quindi è un’operazione che ha convinto quel pezzo di città».
Per Pregliasco quello che a Damilano è mancato «è stato il traino dei partiti nelle periferie». Manco a dirlo, il traino di Fratelli d’Italia e della Lega che non sembrano aver convinto tutti i potenziali elettori ad andare a votare. «Ora avrebbe bisogno di tenere dentro il buon risultato personale nel centro e una mobilitazione nelle aree più esterne della città». Mobilitazione che però, se non c’è stata al primo turno, sarà molto difficile vedere al secondo. Anche perché, nota ancora Pregliasco, il candidato del centrosinistra Lo Russo «ha sulla carta più margini di crescita, visto che sono rimasti fuori dal ballottaggio diversi candidati della sinistra radicale».
Dove vanno i grillini?
A Torino la candidata dei 5s, Valentina Sganga, è fuori dai giochi. «Una parte dei suoi elettori è probabile che confluisca su Lo Russo, anche se non è il più amato esponente del Pd dal M5s a Torino», prosegue Pregliasco. I ballottaggi del capoluogo piemontese e di Roma assumono un valore simbolico per la galassia grillina. «Anche perché cinque anni fa erano le due città dove il Movimento era arrivato al ballottaggio e aveva poi stravinto», ragiona il fondatore di YouTrend.« Sicuramente a Roma è più facile valutare il “dato” Raggi, giacché è rimasta lei la candidata», mentre per Torino, come noto, Chiara Appendino non si è ricandidata, «quindi la sua “eredità politica” è un po’ più difficile da misurare».
Centro contro periferia
A Roma il centrodestra cercherà la conferma nelle zone dove ha raggiunto dei buoni risultati nel primo turno – sostanzialmente periferie e aree più esterne, prosegue Pregliasco. «Dovrà cercare evidentemente di prendere un bel pezzo di voti sia del Movimento che di Carlo Calenda», che si è piazzato terzo con il 19,82%. Non è semplice, «perché i due elettorati sono quasi opposti anche socialmente». L’operazione Calenda in periferia «è stata un fallimento, come peraltro prevedibile, al di fuori della bolla mediatica, politica e di Twitter. Era evidente che la sfida per l’ex ministro fosse molto in salita nelle zone periferiche, e questo è stato confermato in pieno dai dati».
Il dem Gualtieri, che pure è leggermente più indietro al primo turno, dal canto suo ha sulla carta per Pregliasco «più margini di crescita». Sul candidato del centrosinistra, per D’Alimonte, «confluirà più il voto di Calenda rispetto a quello dei 5 stelle». «Ci sarà un astensionismo elevato, ma saranno di più quelli che andranno a votare per Gualtieri che quelli che andranno a votare per Michetti», spiega il professore. «Una buona fetta dell’elettorato di Calenda voterà Gualtieri», mentre quanti elettori dell’ormai ex sindaca Virginia Raggi voteranno il candidato dem al ballottaggio «è una open question: tanti per me si asterranno ma alla fine ci sarà qualche elettore in più per il PD».
Ballottaggio «elezione a sè»
C’è anche un tema di affluenze, avvertono gli esperti: sia a Torino sia a Roma, «in molti quartieri dove nel 2016 i Cinque stelle avevano costruito il loro successo – aree mediamente difficili a livello sociale ed economico – stavolta sono andati a votare molto meno», dice Pregliasco. Quel voto che si era canalizzato sul movimento fondato da Beppe Grillo oggi si è in parte spostato sul centrodestra. Il resto è andato in astensione. E i ballottaggi sono elezioni a sè, avvertono Pregliasco e D’Alimonte. «Non è che si contano anche le schede del primo turno», chiosa il fondatore di YouTrend. «Gli elettori scelgono da zero». E l’affluenza quasi certamente non migliorerà, anzi: «è molto raro che salga tra il primo e il secondo turno: a parte nel 2011 a Milano, all’epoca di Giuliano Pisapia, storicamente è molto probabile che scenda rispetto al primo turno. E andare sotto al 48% sarebbe ancora più desolante».
Mentre «bene ha fatto» Matteo Salvini a fare mea culpa sulla scelta dei candidati della coalizione di centrodestra, troppo tardi e tranne che nel caso di Torino, «neppure i nomi più azzeccati», per D’Alimonte c’è «anche un altro fattore: il centrosinistra ha tendenzialmente più capacità di mobilitazione, di portare al voto i suoi elettori ». Il ballottaggio «è un’elezione completamente diversa, e la sfida è portare al voto i tuoi elettori. Questa è la prima regola per vincere: se non porti al voto i tuoi elettori sei finito. Storicamente sappiamo che il centrosinistra ha maggiori capacità di mobilitazione al secondo turno rispetto al centrodestra».
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