Salvini allo scontro dopo le Comunali su tasse e discoteche: «Così è una presa in giro. Restiamo al governo se riduce le tasse» – Il video
Il Capitano rivende l’ultima tornata elettorale come un successo del Carroccio, con «69 sindaci in più eletti». La realtà, però, è che la Lega – e il centrodestra – nelle grandi città al voto non sono riusciti a eleggere nessun sindaco al primo turno. Per di più, Matteo Salvini sconta l’avanzata di Fratelli d’Italia, persino al Nord, mentre il partito che ha abbandonato il verde padano per passare al blu nazionalpopolare vede erodere il suo consenso. Sono lontani i fasti delle elezioni europee del 2019, quando la Lega e il suo segretario erano leader indiscussi del centrodestra e dell’agone politico italiano. Aggiungendo alla disfatta delle urne la vicenda di Luca Morisi – la Bestia è orfana del suo padre – e l’ampliamento del fronte giorgettiano all’interno del partito, diventa lampante la difficoltà di Salvini. E se la versione governista del Capitano ha fatto incrinare la sua stessa leadership nell’elettorato – suo primo garante in un soggetto politico più moderato di quanto sembri -, è arrivato il momento di rispolverare la giacca del populismo e riattivare la strategia della campagna elettorale permanente.
Le riforme contese
Ieri, 5 ottobre, il presidente del Consiglio ha fornito il primo assist post-comunali al Salvini di lotta, al Salvini che difende le partite Iva, la proprietà privata, critica le tasse tout court: la riforma del fisco. Nella delega, approvata dal Consiglio dei ministri – disertato dai membri dell’esecutivo leghisti -, c’è un punto più sgradito degli altri. La revisione del catasto. Qualsiasi governo, in Italia, provi semplicemente a parlare del patrimonio immobiliare, diventa automaticamente il governo più impopolare della storia repubblicana. E quindi, dietro la «modalità operativa da cambiare» – la Lega ha lamentato, inizialmente, soltanto di aver ricevuto con poco anticipo la bozza della legge delega – si nasconde un’altra verità: perché dare il proprio assenso a una misura invisa all’opinione pubblica se possono essere gli altri membri della maggioranza a sporcarsi le mani? Anzi, prendere la parte della delega più antipatica e usarla per puntellare il baluardo della propaganda leghista.
Toni sempre più alti
Così, usando l’unità di misura salviniana, la timida dichiarazione «c’è un’ipotesi di aumento di tasse che la Lega non avalla» di ieri, è diventata, oggi: «Riforma del catasto, aumenti di Imu e tasse sulla casa? Oggi e domani, dalla Lega un secco “no”. La casa degli Italiani non si tocca e non si tassa». Poco dopo, di nuovo: «Questa è una patrimoniale su un bene già tassato». A ruota, la compagine antigovernista del Carroccio ha recepito il messaggio del capo: è il momento di cambiare strategia. L’ha detto esplicitamente Alberto Bagnai: «Il voto di opinione oggettivamente è venuto a mancare nelle elezioni amministrative. La Lega ha pagato la sua scelta di responsabilità che ha allontanato degli elettori, che vedono in questa scelta il tradimento di un ideale di cambiamento». Alzare i toni, essere più simili a Giorgia Meloni che, dall’opposizione, può permettersi di criticare ogni azione del governo. Si sa, la critica attrae sempre più dell’encomio. Inoltre, nelle democrazie equilibrate, è fisiologico l’alternarsi di forze diverse al comando, in un ribaltamento costante di soggetti politici tra maggioranza e opposizione.
Gli attacchi dal Pd
Il deputato del Partito democratico, Francesco Boccia, la spiega così: «Quello di Salvini di ieri è un chiaro fallo di reazione, la delega – sul fisco – è il risultato di un lavoro che i parlamentari hanno fatto per almeno due anni. Ieri, Salvini ha voluto lanciare un segnale chiaro al governo, è l’ennesima dimostrazione della schizofrenia che sta vivendo la Lega. Salvini deve decidere se è in maggioranza o se va all’opposizione con Giorgia Meloni». Se dipendesse dal segretario del Carroccio e dai suoi fedeli, è evidente che l’ei fu partito del Nord sceglierebbe la squadra del contro. Lo si evince dalla seconda contrapposizione al governo – di cui il Comitato tecnico scientifico è diretta emanazione – in meno di 24 ore.
Lo scontro sulle discoteche
Il pomo della discordia, oggi, è la riapertura delle discoteche: «Discoteche riaperte col Green pass, ma solo con il 35% di capienza? Presa in giro senza senso scientifico, sanitario, sociale ed economico, con questi numeri rischiano di fallire 3 mila aziende e di rimanere a casa 200 mila lavoratori», ha dichiarato Salvini. Memore, forse, che si trovava in un Papeete stracolmo, nell’estate del 2019, quando poteva inebriarsi del suo massimo consenso. E a dar manforte alle posizioni di Salvini sulle riaperture delle discoteche, nel pomeriggio, è arrivato anche Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni, che ha bocciato tout court l’indicazione degli esperti del Cts. «Penso sia utile fare un ragionamento approfondito per ipotizzare un ampliamento – ha dichiarato Fedriga -. Lo dico perché le discoteche con la capienza del 35% non aprono, perché è antieconomico». «Forse è meglio far andare le persone dentro una discoteca con il Green Pass – ha osservato ancora il leghista presidente del Friuli Venezia Giulia – rispetto a farle andare in locali che fanno la medesima attività e non ci sono controlli né Green pass. Lo dico anche per la sicurezza sanitaria».
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