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Mad for Science, la gara che premia gli aspiranti scienziati: «Concorsi pubblici rigidi e stipendi bassi, così la ricerca muore»

07 Ottobre 2021 - 20:15 Fabio Giuffrida
Oggi si è tenuta la finale del concorso, che ha premiato un liceo di Torino per il miglior progetto scientifico. Parla a Open la direttrice di Telethon Francesca Pasinelli, a capo della giuria

Si è tenuta oggi 7 ottobre, dalle 8 alle 13, la Challenge finale della quinta edizione del concorso Mad for Science, promosso dalla Fondazione DiaSorin, presso l’Auditorium Vivaldi di Torino. Per i 160 licei, che avevano presentato un loro progetto – ovvero esperienze didattiche laboratoriali coerenti con gli Obiettivi “Innovazione legata alle biotecnologie”, “Ambiente e sostenibilità” e “Riciclo, rifiuti, economia circolare” dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile promossa dall’Onu – c’erano in palio decine di migliaia di euro da spendere nell’ampliamento dei propri biolaboratori. Otto i finalisti, solo 3 i premiati. Il primo premio, di 75 mila euro, è andato al liceo scientifico Valsalice di Torino. Alla cerimonia finale era presente soltanto la giuria: presieduta da Francesca Pasinelli (presidente della Fondazione DiaSorin e direttore generale della Fondazione Telethon), era composta da scienziati, accademici e professionisti del mondo della comunicazione come il direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Giuseppe Remuzzi, il rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta e il direttore responsabile di “Le Scienze” Marco Cattaneo. Tutti i ragazzi, invece, erano in collegamento streaming da otto città italiane. Al secondo e al terzo classificato – un liceo di Pesaro e uno di Bologna – premio da 37.500 e 15 mila euro. Previsti anche altri riconoscimenti da 10 mila euro ciascuno.

La scienza per trovare percorsi alternativi

Per Pasinelli, direttore generale della Fondazione Telethon, questa iniziativa serviva «a portare i ragazzi a fare scienza, nella pratica»: un concorso che, tra l’altro, cade nello stesso periodo in cui migliaia di giovani si sono radunati a Milano per parlare, anche alla presenza dell’attivista Greta Thunberg, di cambiamento climatico. «Sono ragazzi che fanno proposte, che passano dalle parole ai fatti. In questo caso hanno utilizzato la scienza per trovare percorsi alternativi. Non solo nozioni di scienza in maniera frontale, dunque, ma anche amore per la scienza attraverso la conoscenza della parte sperimentale, pratica», ha detto. Nello specifico, la scuola che si è aggiudicata i 75 mila euro ha portato un progetto per la produzione dei tessuti partendo dagli scarti organici. «Gli stessi di cui si cibano le larve di insetti che, se essiccate, producono i filamenti di tessuto», ci spiega Edoardo Ghiazza, 18 anni, uno degli studenti del liceo scientifico che oggi l’ha spuntata su tutti.

«Il progetto – continua – nasce da un problema, quello degli scarti organici. Come contrastare questo fenomeno che di fatto inquina il nostro pianeta? Gli scarti organici producono emissioni nocive per l’ambiente, non possiamo più sottovalutare questa questione». Ancora una volta, dunque, l’ambiente al primo posto: «Molti fanno finta di non vedere il problema della sostenibilità ambientale, che rimane invece centrale. Giusto sostenere le manifestazioni ma è più corretto, secondo me, fare delle piccole azioni quotidiane come prestare massima attenzione al riciclo degli scarti. La scienza? Per me è sviluppo, innovazione, miglioramento, un metodo per comprendere la realtà che ci circonda». Un modo anche per evitare che cresca, specialmente nei giovani, un sentimento anti-scientifico, quello già visto in No vax, complottisti e negazionisti ai tempi del Covid. «Noi siamo praticamente tutti vaccinati – conclude Ghiazza – È anche vero, però, che chi ha deciso di non proteggersi dal virus lo ha fatto perché si è ritrovato in mezzo a tante idee contrastanti. Noi giovani, di fatto, ci siamo vaccinati senza sapere il perché, affidandoci al giudizio di altre persone, con informazioni spesso poco chiare e rischiando quindi di non sapere mai a chi credere».

Il sentimento anti-scientifico di No vax, complottisti e negazionisti

Per Giuliana Losana, docente di Scienze nella classe vincitrice del concorso, è fondamentale «non solo far studiare la scienza ma farla, i ragazzi devono vederla»: «Molti di loro si appassionano e alcuni nostri ex studenti ci raccontano di essere molto felici della loro carriera all’estero. Si sono formati da noi e poi si sono contraddistinti fuori. Qualcuno torna, qualcuno. La verità è il sistema di retribuzione italiano va riformato, altrimenti continuiamo a perdere queste idee, questi valori». E sui ragazzi che non credono alla scienza: «Se noi forniamo loro degli strumenti, allora diventeranno cittadini in grado di prendere decisioni sostenute, di non credere a tutto quello che sentono in giro. I ragazzi, per fortuna, non sono facile preda. E i dati delle vaccinazioni tra i giovani sono stati per noi un’ottima lezione (hanno aderito in massa, ndr). La paura non li ha bloccati, hanno meno paura di noi adulti». A questo discorso si aggiunge Pasinelli: «Quando arrivò il vaccino contro la poliomielite i miei genitori esultarono. Noi abbiamo avuto il privilegio di vivere in salute e non si può negare che le condizioni di vita, lavoro e salute siano migliorate grazie alla scienza. Quelli che non vogliono vaccinarsi, allora dovrebbero rinunciare a tutti i vaccini, agli antibiotici, a tutto ciò che è frutto del lavoro di persone esperte. E si devono considerare pure fortunati: è grazie alla scelta consapevole di altri se la loro decisione, ostinata di non vaccinarsi, non gli costa caro». Il vaccino anti-Covid? «Bisogna porre dei limiti alla propria libertà quando questa ostacola quella degli altri. I No vax non possono creare danno agli altri».

Il problema della ricerca scientifica in Italia

Per Pasinelli la scienza «non ha mai avuto la pretesa della perfezione ma fornisce dati provati sperimentalmente e verificati da qualcuno in maniera indipendente». La scienza, dunque, «migliora la condizione di vita delle persone». Nonostante questo, come fatto notare il Nobel Giorgio Parisi, il nostro è un Paese che considera la ricerca scientifica «un po’ la Cenerentola»: «Non ha mai investito in modo significativo e qualunque appello all’incremento di finanziamento non è sufficiente se non c’è contemporaneamente un appello a una corretta distribuzione delle risorse. Basta fondi a pioggia, casuali o dettati da pressioni politiche o economiche. Servono valutazioni di esperti che a loro volta abbiano un sistema di controllo per evitare pregiudizi e dunque conflitti d’interesse». Un sistema che allontana sempre di più i giovani ricercatori italiani, spesso in fuga all’estero: «Vanno via perché non siamo attrattivi. Non solo non riusciamo a riportarli indietro ma non siamo in grado nemmeno di attirare i ricercatori stranieri. Importiamo gli stranieri solo nelle squadre di calcio. Nei nostri laboratori di ricerca no».

La ricerca universitaria, di fatto, «soggiace alle regole della pubblica amministrazione italiana, quindi a un reclutamento che passa da un sistema concorsuale pubblico bizantino che ci impedisce di fare chiamate dirette, che è troppo rigido – ma non porta a notevoli riduzione della corruzione – e che ci rende meno attrattivi. Per paura di fare male rischiamo di non fare più niente». «Chi va via dal nostro Paese – conclude – ha un suo salario, ha i suoi fondi per la ricerca così come stipendi più adeguati. Non è possibile che chi ha in mano il futuro dell’Italia debba fare i conti con salari pubblici che non rendono merito a professioni così importanti». E non è un caso che, proprio di recente, il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta ha ammesso che gli stipendi per profili altamente specializzati nella pubblica amministrazione sono troppo bassi (lo ha detto a proposito del Concorso per il Sud).

Foto in copertina di repertorio: PIXABAY

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