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Indagine indipendente svela i veri numeri sull’aborto in Italia: almeno 15 ospedali con 100% di obiettori

11 Ottobre 2021 - 17:14 Angela Gennaro
La fotografia scattata da un'indagine (in corso) a cura delle docenti Lalli e Montegiove con il supporto dell'associazione Luca Coscioni mostra una realtà molto difficile per le donne che vogliono interrompere la gravidanza: «La relazione annuale ministeriale incompleta e poco utile alle donne»

L’indagine è ancora in corso, ma quello che comincia a emergere va già in una direzione precisa: in Italia ci sono una ventina di ospedali pubblici dove non è possibile abortire perché il 100% dei ginecologi, anestesisti e personale non medico è obiettore di coscienza. Ma questo il governo al momento, almeno ufficialmente, non lo sa o comunque non lo dice. Il dato, schiacciante, non compare infatti nella Relazione sulla legge 194/78 sulla interruzione volontaria di gravidanza che annualmente il ministero della Salute trasmette al parlamento. Perché, per come è fatta, la relazione non riesce a vederlo: «Aggregando i dati per Regione di fatto non rende pubbliche le percentuali di obiettori sulle singole strutture», spiegano Chiara Lalli, docente di storia della medicina, e Sonia Montegiove, docente, informatica e giornalista. Al congresso nazionale dell’associazione Luca Coscioni hanno presentato i primi risultati di Mai dati, un’indagine portata avanti a suon di accessi civici sull’effettiva applicazione della 194 in Italia. Fino al 30 settembre 2021 risultavano 15 strutture in tutta Italia con il personale al 100% obiettore. In queste ore le due docenti stanno aggiornando la mappa dell’obiezione: con le risposte arrivate fino a questo momento, racconta a Open Chiara Lalli, «ci sono altri tre ospedali con la totalità dei medici obiettori».

Gli ospedali obiettori

Gli ospedali obiettori di coscienza al 100% sulla mappa realizzata da Lalli e Montegiove e in aggiornamento costante sono (al 30 settembre):

  • 4 Lombardia (Busto Arsizio, Area distrettuale Saronno, Polo Ospedaliero Saronno, presidio di Montichiari)
  • 1 Liguria (IRCCS A.O.U San Martino)
  • 1 Piemonte (Ospedali Riuniti Ciriè-Lanzo, 9 addetti, 9 obiettori)
  • 1 Toscana (Ospedale di Lunigiana)
  • 2 Umbria (Castiglione del Lago, ospedale di Gubbio e Gualdo Tadino)
  • 1 Marche (Polo ospedaliero Jesi)
  • 1 Campania (Battipaglia)

In Veneto la percentuale segnalata su tutte le strutture è quasi al 90%, stessa media in Puglia e in Basilicata. Fino alla fine del mese scorso aveva risposto il 60% delle Asl e degli ospedali: 5 i presidi in cui la totalità del personale ostetrico o degli anestesisti è obiettore, 20 ospedali con una percentuale di medici obiettori che va oltre l’80% e 13 che superano la stessa soglia tra il personale medico e non medico. «Solo se sono aperti i dati permettono alle donne di scegliere in che ospedale andare sapendo qual è la percentuale di obiettori nella struttura scelta», affondano Lalli e Montegiove. «Non tutte possono scegliere perché vivono in una città dove c’è un solo ospedale o in una regione dove c’è un unico non obiettore».

I buchi nella relazione e quel bisogno di dati

Associazione Luca Coscioni | Chiara Lalli

I dati della Relazione ministeriale vengono raccolti dal Sistema di Sorveglianza Epidemiologica delle interruzioni volontarie di gravidanza, attivo in Italia dal 1980, che impegna l’Istituto Superiore di Sanità, il ministero e l’Istat da una parte, le Regioni e le Province autonome dall’altra. L’ultima è stata trasmessa al Parlamento il 30 luglio 2021. Secondo il report, il picco di obiettori sarebbe in Sicilia, con una percentuale dell’85,8%. «E invece emerge che ci sono strutture con la totalità dei professionisti che invocano l’obiezione: e ne basterebbe anche solo uno per dimostrare la poca utilità della Relazione», chiosa Lalli. «Chiediamo i dati aperti, disaggregati», prosegue. Il punto è che «per parlare di qualcosa bisogna conoscerli: vale per la Relazione sulla 194, ma può valere per tutto – e lo abbiamo visto con la pandemia di Coronavirus», quando abbiamo scoperto che i numeri snocciolati ogni giorno nel primo lockdown dall’allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli avevano, di fatto, poca efficacia nel fotografare la realtà (e anche lì la richiesta di dati aperti da parte della società civile si era fatta sentire).

«I dati sull’interruzione volontaria di gravidanza per come li abbiamo ora non servono a nulla. L’aggregazione per Regione è grossolana e non restituisce una fotografia nitida», spiega Lalli. «Noi chiediamo i dati sulla singola struttura, aggiornati idealmente ogni sei mesi. Anche il nostro lavoro è soggetto a scadenza: abbiamo cominciato a mandare Pec dall’inizio di agosto ma il personale poi nel tempo cambia». Sarebbe necessaria insomma una iniziativa dall’alto. «Con dati puntuali sull’interruzione volontaria di gravidanza. E risposte a domande cruciali come per esempio quella di quanto, e se dalle strutture viene usata la pillola abortiva RU468. Quali sono le opzioni cliniche utilizzate. Sono sempre le migliori? La domanda, ahimè, è retorica».

Mentre le iniziative dal basso sul monitoraggio del diritto all’aborto in Italia si moltiplicano, la prima tappa è stata questa dell’accesso civico via Pec. La richiesta, circoscritta: quella del numero degli obiettori totali delle strutture e del numero di chi obbietta diviso per le categorie della 194: ginecologi, personale non medico e anestesisti. «Ci sono strutture in cui ci sono 100% anestesisti. E lì che succede?», si chiede Lalli. «Vengono chiamati professionisti da fuori? Come si giustifica la spesa? Oppure non si effettua l’Ivg?». Ora, per chi non ha risposto, la prossima tappa è quella del sollecito dopo 30 giorni ai responsabili Trasparenza e Anticorruzione. Un lavoro ricerca, in una giungla di contatti difficili da trovare, spazi vuoti al posto del numero di telefono e dell’indirizzo di posta elettronica degli Uffici Trasparenza (già) delle aziende sanitarie e pagine non aggiornate. E con risposte varie e variegate (laddove pervenute). Dal silenzio stampa alla sentenza: «Si precisa che l’Azienda provinciale per i Servizi Sanitari raccoglie e invia annualmente all’ISS e al ministero della Sanità i dati aggregati relativi al personale interessato obiettore e non dell’azienda» – e link alla Relazione. Su pdf non cliccabile. «Insomma, siamo solo all’inizio e c’è tanto lavoro da fare», sorride Chiara Lalli.

In copertina ANSA/Alessandro Di Marco| Manifestazione “Sui nostri corpi decidiamo noi”, Piazza Castello, Torino, 31 ottobre 2020

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