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L’audizione al Senato contro il Green Pass del medico Bizzarri contiene diverse narrazioni infondate

13 Ottobre 2021 - 17:24 Juanne Pili
Una raccolta di fonti contro i vaccini, tamponi e Green Pass presentate al Senato che non trovano fondamento

Circola un video, recante il logo di Radio Radio, che riporta l’intervento del dottor Mariano Bizzarri – oncologo e docente dell’Università La Sapienza di Roma – durante un’audizione al Senato, tenutasi il 6 ottobre 2021 presso la Commissione Affari Costituzionali. Il ricercatore sostiene che il Green pass non si fonderebbe su alcuna evidenza scientifica, presentando fonti che a suo dire dimostrerebbero la pericolosità dei vaccini contro la Covid-19 e l’inefficacia dei tamponi PCR. Le fonti, tuttavia, risultano smentite come abbiamo riportato in alcuni dei nostri articoli di Open Fact-checking.

Mariano Bizzarri durante la sua audizione contro il Green pass al Senato.

Per chi ha fretta:

  • Bizzarri menziona vari documenti scientifici che non dimostrano affatto l’inutilità del Green pass, dei vaccini o dei test PCR.
  • Affermare che i vaccinati siano contagiosi quanto i non vaccinati, o siano meno protetti, è in antitesi con quanto è emerso in seno alla Comunità scientifica.
  • I vaccini, anche a seguito della farmacovigilanza attiva a livello italiano ed europeo, si sono rivelati sicuri ed efficaci nel prevenire forme gravi e decessi.
  • Non ci sono prove a sostegno della teoria che la proteina Spike sia tossica per l’organismo.

Analisi

Bizzarri esordisce citando un articolo del New York Times datato 3 luglio 2021 dove la fonte sosterrebbe che i test PCR (usati per trovare la traccia genetica del SARS-CoV-2) producono falsi positivi nel 90% dei casi per via del numero eccessivo di cicli con cui viene effettuato.

L’articolo del NYT, il cui senso è stato presto distorto negli ambienti No vax americani, non dice affatto quanto sostenuto da Bizzarri. Ad affermarlo in un tweet è la stessa autrice, Apoorva Mandavilli:

Coloro che stanno stravolgendo l’articolo sulla PCR – continua Mandavilli – pensano che questo sia il motivo per cui i numeri statunitensi sono più bassi: un grande NO. Le persone che risultano positive alla PCR sono infette, semplicemente potrebbero non essere infettive.

Quindi no, non è per questo che i nostri numeri sono più alti di quelli di altri paesi. Sono più alti perché abbiamo molte più persone infette di loro.

Le persone che risultano positive ma con TC elevate *erano* contagiose, solo in un momento precedente. Non sono *più* contagiosi. Non significa che non siano mai stati infettati, quindi non influisce sul conteggio dei casi.

Un conto è il conteggio dei casi, un altro verificare se una persona risulta potenzialmente infettiva. Per questo generalmente ci si attiene al limite dei 30 cicli, oltre i quali sarebbe impossibile per gli addetti ai lavori non accorgersi di essere di fronte a dei falsi positivi, come ci aveva spiegato il biologo molecolare Francesco Cacciante:

I laboratori non dichiarano il numero di cicli effettuati, eppure ogni volta c’è qualcuno che ne aumenta il numero. La Taq-polimerasi, enzima utilizzato per la reazione di PCR, perde processività dopo i 30 cicli. Anche ammettendo che qualche laboratorio arrivi [oltre, Nda], cosa che non avrebbe senso, i falsi positivi si vedrebbero chiaramente, perché conosciamo la lunghezza della sequenza da rilevare.

La probabilità che emergano sequenze amplificate diverse ma della stessa intensità e lunghezza dell’originale è praticamente inesistente. La PCR si accompagna sempre ad altre tecniche, come l’elettroforesi su gel che esclude tutte le sequenze di lunghezza non corrispondente a quella che vogliamo amplificare. Per la reazione si fanno controlli positivi e negativi, per accertare che la PCR rilevi o meno delle sequenze dove ce lo aspettiamo.

La bufala dei CDC americani e i test PCR che “non distinguono tra SARS-CoV-2 e altri virus

Il Ricercatore prosegue citando una nota dei CDC americani, dove verrebbe disposto il ritiro dei test PCR in quanto inefficienti nel distinguere SARS-CoV-2 dai virus influenzali e dagli altri Coronavirus umani. Una falsa notizia diffusa durante l’estate 2021 e che avevamo trattato in un articolo del 26 luglio a Open Fact-Checking.

È vero che vennero ritirati dei test PCR, ma solo quelli focalizzati esclusivamente nel riconoscere il nuovo Coronavirus (il Sars-Cov-2). L’Agenzia chiedeva quindi la loro sostituzione con altri in grado di riconoscere anche i virus influenzali. In nessun modo quei test potevano confondere dei virus influenzali con SARS-CoV-2.

Morti con Covid o per Covid?

Bizzarri espone quindi i suoi dubbi riguardo a come sono stati associati i casi e decessi per Covid. Narrazioni simili che mettevano in dubbio la classificazione dei morti circolavano già nel marzo scorso, come spiegavamo in un articolo del periodo. Altre ponevano dubbi sulla mancanza di autopsie, altra vecchia fake news che analizzammo in un articolo del maggio 2020.

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) riporta nel proprio sito un’area dedicata dove spiega in dettaglio come avviene la classificazione:

I criteri per definire un decesso per COVID-19 sono indicati nel rapporto sopracitato e comprendono:
– Decesso occorso in un paziente definibile come caso confermato microbiologicamente (tampone molecolare) di COVID-19
– Presenza di un quadro clinico e strumentale suggestivo di COVID-19
– Assenza di una chiara causa di morte diversa dal COVID-19
– Assenza di periodo di recupero clinico completo tra la malattia e il decesso.

Sono da considerarsi cause di morte associate a COVID-19 le complicazioni o gli esiti collegati a patologie pre-esistenti che possono aver favorito o predisposto ad un decorso negativo un paziente con quadro clinico compatibile con COVID-19. Nel caso specifico, se l’infarto avviene in un paziente cardiopatico con una polmonite COVID-19, è ipotizzabile che l’infarto rappresenti una complicanza del COVID-19 e quindi il decesso deve essere classificato come dovuto a COVID-19. Se l’infarto avviene in un paziente che non ha un quadro clinico compatibile con COVID-19, il decesso non deve essere classificato come dovuto a tale condizione.

Un’analisi dei certificati di decesso, svolta congiuntamente da ISS e Istat, ha mostrato che il COVID-19 è la causa direttamente responsabile della morte nell’89% dei decessi raccolti nel Sistema di Sorveglianza, quindi in circa 9 casi su 10 dei deceduti censiti. Questa analisi includeva i deceduti del periodo marzo-maggio e un’analisi aggiornata di tali dati è attualmente in corso di svolgimento.

La copertura vaccinale crolla al quarto mese al 53%?

Bizzarri mostra l’estratto di un documento sul tema vaccini con il quale siamo risaliti a uno studio apparso su The Lancet il 4 ottobre 2021, riguardante l’efficacia del vaccino di Pfizer.

Un estratto dello studio di The Lancet sull’efficacia del vaccino di Pfizer.

Il ricercatore sostiene che dimostrerebbe un calo dell’efficacia dei vaccini al 53% dopo quattro mesi, facendo riferimento al seguente passaggio del sommario (il grassetto è nostro):

Tra le infezioni sequenziate, l’efficacia del vaccino contro le infezioni della variante delta è stata elevata durante il primo mese dopo la vaccinazione completa (93% [95% CI 85-97]) ma è scesa al 53% [39-65] dopo 4 mesi.

Ecco i passaggi successivi al frammento mostrato nella diapositiva di Bizzarri:

L’efficacia del vaccino contro i ricoveri ospedalieri per infezioni con la variante delta per tutte le età è stata complessivamente elevata (93% [95% CI 84-96]) fino a 6 mesi.

Va ricordato in aggiunta – come approfondiremo nel paragrafo successivo – che i vaccinati, qualora infetti, generalmente sono notevolmente meno contagiosi dei non vaccinati, contrariamente alle narrazioni alternative.

Vaccinati e non vaccinati sono altrettanto infettivi?

Bizzarri riporta la narrazione in base alla quale non vi sarebbe differenza tra vaccinati e non vaccinati in merito all’infettività.

Diapositiva sui CDC riguardo alla contagiosità dei vaccinati.

A sostegno della tesi, mostra quanto riferito dai CDC americani in un documento interno riportato dal Washington Post lo scorso 30 luglio. Ecco un estratto dell’articolo del 29 luglio del WP:

La presentazione interna mostra che l’agenzia pensa che stia lottando per comunicare l’efficacia del vaccino a causa dell’aumento delle infezioni. Cita una combinazione di dati ottenuti di recente e non ancora pubblicati di indagini sull’epidemia e studi esterni che dimostrano che gli individui vaccinati infetti da delta possono essere in grado di trasmettere il virus con la stessa facilità di coloro che non sono vaccinati. Le persone vaccinate infette da delta hanno cariche virali misurabili simili a quelle che non sono vaccinate e infettate dalla variante.

I colleghi del WP sono riusciti a ottenere delle precisazioni da parte di un ufficiale sanitario federale, che ha voluto restare nell’anonimato:

Sebbene sia raro, riteniamo che a livello individuale le persone vaccinate possano diffondere il virus, motivo per cui abbiamo aggiornato le nostre raccomandazioni […] Aspettare anche giorni per pubblicare i dati potrebbe comportare sofferenze inutili e come professionisti della sanità pubblica non possiamo accettarlo.

Queste rivelazioni arrivano anche al virologo americano Anthony Fauci, venendo puntualmente fraintese. Secondo i detrattori dei vaccini il Luminare avrebbe detto che tutti i vaccinati e non vaccinati, se contagiati avrebbero la medesima carica virale.

Niente affatto. Come avevamo visto all’epoca in un nostro articolo, Fauci spiega che vi sono rari casi in cui anche un vaccinato potrebbe essere infettivo. In generale i non vaccinati sono quelli di gran lunga più contagiosi. Ed è lo stesso Fauci a chiarirlo, in almeno due interventi (qui e qui).

Le pubblicazioni scientifiche sui «vaccinati infettivi»

Bizzarri fa riferimento anche ad altre pubblicazioni autorevoli, che a suo dire confermerebbero la tesi dei vaccinati infettivi. Li abbiamo recuperati e letti:

Gli studi sui vaccinati infettivi.

Nella lettera apparsa sul NEJM si parla di «infezioni aumentate rapidamente, compresi i casi tra le persone completamente vaccinate», subito dopo la fine dell’obbligo di indossare la mascherina in California nel contesto di una variante Delta dominante. Si parla di 227 operatori sanitari, di cui 130 completamente vaccinati, trovati positivi tra marzo e luglio 2021.

Questo documento è l’esempio lampante di quanto possa essere utile il Green pass, impedendo che vaccinati e non vaccinati si trovino assieme senza protezioni in luoghi chiusi. Descrive infatti una situazione in cui vengono allentate le disposizioni di sicurezza. Gli autori non a caso concludono sostenendo l’importanza di estendere le vaccinazioni e gli interventi non farmaceutici:

I nostri risultati sottolineano l’importanza di ripristinare rapidamente gli interventi non farmaceutici, come il l’uso di mascherine nei luoghi chiusi e le strategie di test intensivi, oltre ai continui sforzi per aumentare le vaccinazioni, come strategie per prevenire malattie e decessi evitabili.

Nell’articolo divulgativo di Nature, Elie Dolgin parla dei cali di efficacia fino a sei mesi dalla vaccinazione, per quanto riguarda la protezione dalle forme lievi di Covid. Non si mette in discussione l’efficacia contro i casi gravi. Il focus è quello dell’opportunità di introdurre la terza dose:

Sulla base dei risultati pubblicati degli studi sui vaccini e di altre fonti di dati, hanno stimato che le persone immunizzate contro il COVID-19 perderebbero circa la metà dei loro anticorpi difensivi ogni 108 giorni circa. Di conseguenza, i vaccini che inizialmente offrivano, ad esempio, una protezione del 90% contro i casi lievi di malattia potrebbero essere efficaci solo al 70% dopo 6 o 7 mesi.

Nell’articolo divulgativo di BMJ, Shaun Griffin fa riferimento a dati preliminari provenienti dal Regno Unito. Si parla della possibilità che i vaccinati possano contagiare sulla base di pubblicazioni non revisionate e non si sostiene che questo riguardi sicuramente tutti i vaccinati.

Infine, il secondo paper del NEJM riguarda due donne positive in un gruppo di 417 vaccinati:

Queste osservazioni non minano in alcun modo l’importanza degli sforzi urgenti intrapresi a livello federale e statale per vaccinare la popolazione degli Stati Uniti. Forniscono inoltre sostegno agli sforzi per far progredire un nuovo richiamo del vaccino (oltre a un vaccino pan-coronavirus) per fornire una maggiore protezione contro le varianti.

Lo «studio» sui vaccini non correlati ai casi Covid

Il Ricercatore prosegue citando un documento di cui ci siamo occupati in un articolo molto recente, ossia una lettera apparsa sul European Journal of Epidemiology del 30 settembre 2021, dove si parla di una mancata correlazione tra la «curva epidemica» e le vaccinazioni, ma nel citarla riporta alcuni dati omettendone altri che permettono di chiarire il contesto.

Si cita addirittura un preprint ancora in attesa di revisione, che suggerisce una maggiore efficienza dell’immunità naturale rispetto a quella data dal vaccino di Pfizer, senza menzionare alcuna verifica della presenza di anticorpi neutralizzanti mediante test sierologici. Anche il metodo con cui sono stati organizzati i gruppi di volontari è discutibile. Rimandiamo alla lettura della nostra analisi per maggiori dettagli.

L’immunità naturale è di gran lunga più efficace?

L’idea che l’immunità naturale sia preferibile a quella data dai vaccini la troviamo anche nelle conclusioni di Bizzarri, ma risulta infondata. Nel 2020 era stato redatto un manifesto noto come Great Barrington Declaration, il quale faceva della protezione data dall’essere stati precedentemente infettati dal virus un punto fondamentale. Queste tesi vennero immediatamente smentite alla luce della letteratura in merito. Non solo, sono stati successivamente accertati potenziali conflitti di interesse tra i principali firmatari, come spiegavamo in un precedente articolo.

Oltre al fatto che sono ormai noti i casi di re-infezione a pochi mesi dalla guarigione, ricordiamo che con la presenza della variante Delta chi non si vaccina corre maggiori rischi di contrarre forme gravi di Covid-19.

Non abbiamo un sistema di farmacovigilanza attiva?

Bizzarri allude anche alla pericolosità dei vaccini, lamentando l’assenza di una farmacovigilanza attiva. Eppure a livello Europeo non sono mancate le indagini riguardo a presunti eventi avversi correlati ai vaccini, non possiamo dimenticare le indagini sull’associazione tra rari eventi trombotici e vaccini adenovirali come quello di AstraZeneca. Sono sotto osservazione anche le segnalazioni riguardanti la presunta associazione tra miocardite e vaccini a mRNA, come quello di Pfizer. Alla fine l’EMA si è espressa riscontrando che i benefici superano di gran lunga i rischi.

I vaccini producono proteine potenzialmente tossiche?

Cosa potrebbe rendere pericolosi i vaccini anti-Covid? Secondo Bizzarri la proteina Spike, che viene fatta produrre dalle nostre cellule, avrebbe dato segni di tossicità. Questa narrazione, sostenuta soprattutto negli ambienti No Vax, l’abbiamo trattata in passato consultando vari esperti (per cominciare potete leggere qui e qui). Come abbiamo avuto modo di accertare non c’è uno studio di qualità che avvalli queste tesi:

Non trovano alcun riscontro nelle tre fasi di sperimentazione clinica dei vaccini. Non si riscontra mai tra i presunti eventi avversi, quella tempesta di citochine che danneggerebbe i polmoni. La risposta dovuta all’emergere di singole proteine virali, allo scopo di stimolare il sistema immunitario, non è paragonabile a quella che avverrebbe se il virus stesso si moltiplicasse interamente all’interno delle cellule.

Conclusioni

Per contestare l’utilità del Green Pass, il ricercatore riporta diverse fonti che non sostengono le tesi illustrate durante l’audizione al Senato. Infatti, se analizzate una per una, si rivelano insufficienti a mettere in congedo quanto è emerso in quasi due anni di letteratura scientifica sulla Covid-19.

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