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Road to Cop26 | Crisi del fossile in Libano, l’attivista Nouhad Awwad: «Energia verde per curare le diseguaglianze sociali» – Il video

15 Ottobre 2021 - 13:33 Giada Ferraglioni
In vista della Cop26 di Glasgow, in programma dal 31 ottobre al 12 novembre, Open ha intervistato diversi giovani attivisti in tutto il mondo. Nouhad Awwad racconta cosa significa vivere in un Paese messo in crisi dall'industria fossile

L’appuntamento su Zoom è alle 17, ma Nouhad Awwad, giovane attivista libanese per il clima, non può connettersi. «La corrente non tornerà prima delle 18», dice al telefono. «Non avrò la connessione fino a quell’ora. Ho dovuto saltare anche un meeting di lavoro». Nouhad, classe 1990, ha studiato Politiche Ambientali all’Università Americana di Beirut e, tra le altre cose, presiede l’Arab Youth Climate Movement in Libano. Durante le Cop21 e la Cop22 – le Conferenze delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – ha fatto parte della delegazione ufficiale del suo Paese, partecipando anche ai summit della Cop23 e Cop24. Racconta che da quando il 4 agosto del 2020 il porto di Beirut è stato colpito da una violenta esplosione, la situazione in Libano è precipitata ulteriormente. L’incidente, in cui hanno perso la vita oltre 200 persone, è avvenuto in un momento in cui il Paese era (ed è tutt’ora) alle prese con una crisi economica senza precedenti. Più della metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e, secondo il report della World Bank uscito in primavera, quella del Libano potrebbe essere tra le peggiori 3 crisi economiche della storia dalla metà dell’Ottocento.

Il climate change e il Libano

La maggior parte dei problemi finanziari dello Stato è legata alla crisi della fornitura di materie prime, quali benzina e combustibili fossili, e da maggio la situazione energetica è peggiorata. L’azienda turca Karpowership ha chiuso la sua fornitura di elettricità al Paese perché non veniva pagata da oltre 18 mesi e perché lo Stato aveva già accumulato più di 80 milioni di euro di debiti. Le autorità libanesi attualmente possono garantire solo due o tre ore di copertura energetica al giorno. «Le persone stanno iniziando a capire che l’industria fossile è inaffidabile e che una transizione verso l’energia rinnovabile, come quella solare, è fondamentale», spiega Nouhad. «I cittadini non usano la macchina perché la benzina è troppo costosa, e senza corrente è quasi impossibile avere acqua corrente in casa».

I benefici sociali della lotta per il clima

Alle difficoltà quotidiane e alla povertà dovuta dalla disoccupazione si aggiungono i problemi di salute che derivano dalla mancanza di energia elettrica. «In Libano molti cittadini in difficoltà pensano che parlare di ecologia sia un vezzo da ricchi», dice Nouhad. «Per questo è importante legare i temi ambientali alle diseguaglianze sociali, e spiegare i benefici che porterebbe una transizione verso un’energia rinnovabile». Il Libano sembra oggi un grande incubatore di quel che potrebbe significare per i Paesi più sviluppati continuare a fare affidamento solo su combustibili quali petrolio, carbone e gas. Ma è soprattutto una dimostrazione di quanto i Paesi meno ricchi siano lasciati soli ad affrontare l’emergenza.

Cosa chiede Nouhad alla Cop26

«I leader mondiali dovrebbero fare i conti con la questione del Loss and damage definita negli accordi di Parigi e aiutare i Paesi più in difficoltà con dei fondi adeguati». Per Loss and damage – cioè perdita e danno – si intende quella serie di impatti negativi legati ai cambiamenti climatici che non possono essere evitati neppure con misure di adattamento, perché dipendono alle risorse e dai metodi che le società hanno a disposizione per fronteggiare le calamità naturali. La Cop26 in programma a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre, deve essere, per Nouhad, un’occasione per pretendere che gli Stati più ricchi – che sono anche quelli producono maggiore Co2 – paghino il prezzo più alto in termini economici.

Immagine di copertina: Elaborazione grafica di Vincenzo Monaco

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