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Il processo sull’omicidio Regeni a rischio stallo. Cosa può succedere ora: il ruolo chiave del governo – Il video

16 Ottobre 2021 - 10:04 Fabio Giuffrida
Il processo rischia la paralisi a causa delle autorità egiziane "silenti" e dello scontro all'interno del tribunale di Roma. Di fatto, l'unica soluzione resta quella di un intervento del governo Draghi

Il processo sull’omicidio di Giulio Regeni, ricercatore di 28 anni ucciso al Cairo il 25 gennaio 2016, è tutto da rifare. E ora rischia un lungo periodo di paralisi, fino al pericolo che possa del tutto saltare il procedimento, tra responsabilità del tribunale di Roma e totale assenza di collaborazione da parte dell’Egitto. Lo scontro prima di tutto si consuma all’interno del tribunale di Roma, dove un primo giudice ha dato il via libera al processo, pur in assenza dei quattro agenti dei servizi dell’intelligence del Cairo: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Gli imputati non hanno mai ricevuto formalmente le carte del procedimento visto che le autorità egiziane non hanno comunicato i loro dati e, dunque, non hanno permesso ai magistrati di inviare loro le notifiche per comunicare il rinvio a giudizio. I giudici della Corte d’assise lo scorso 14 ottobre hanno, quindi, rimandato gli atti al Gup per nuove verifiche.

Cosa succede adesso

Il processo, dunque, è a rischio paralisi: e adesso cosa succederà? Le posizioni dei quattro imputati torneranno al gip Balestrieri, che in realtà le conosce già. È verosimile che il magistrato rimanderà gli atti in procura per chiedere una nuova rogatoria e che alla fine venga di nuovo chiesto il rinvio a giudizio per i quattro militari che, ancora una volta, si renderanno irreperibili. Insomma, se l’Egitto non collabora, il processo difficilmente potrà proseguire, a meno che il tribunale di Roma non faccia di nuovo un passo indietro, sostenendo che, anche in assenza degli imputati, si possa comunque procedere. L’alternativa, in realtà, c’è ed è quella di un intervento decisivo del governo italiano che si è già costituito parte civile al processo facendo infuriare le autorità egiziane. Serve il pressing del premier Mario Draghi e della diplomazia italiana. «È uno stop. Alla famiglia esprimo massima solidarietà a nome di tutta la Camera. Andremo avanti fino alla fine e fino in fondo perché vogliamo gli indirizzi delle persone rinviate a giudizio e li avremo in tutti i modi per andare avanti con il processo. La rogatoria dovrà essere sostenuta da tutto lo Stato italiano con grande forza», ha detto il presidente della Camera Roberto Fico.

I dubbi della Corte d’Assise

Insomma, tra Italia ed Egitto i rapporti sembrano essere pessimi. Le autorità egiziane, tra l’altro, continuano a non collaborare definendo addirittura «illogiche e poco conformi ai fondamenti giuridici penali internazionali» le conclusioni della procura di Roma. Inutili le richieste da parte del ministero della Giustizia, i «reiterati solleciti per via giudiziaria e diplomatica». L’Egitto non risponde e, allo stato attuale, non si può presumere che i quattro imputati sappiano del processo. Per questo la terza sezione della Corte d’Assise non se l’è sentita di procedere. Ci vuole «la prova certa», ha scritto la giudice che, di fatto, ha smentito, senza se e ma, quanto deciso pochi mesi prima dallo stesso tribunale. Il problema, in altre parole, sta nella diversa interpretazione delle norme tra magistrati dello stesso tribunale. Vedute diverse che, però, rischiano di mandare all’aria tutto. Dopo anni di battaglie.

Video: Agenzia Vista/Alexander Jakhnagiev

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