Tratta di essere umani, 26 mila vittime in Europa: il 68% sono donne. Il progetto che offre un’alternativa
«La vita è fatta di incontri: alcuni possono distruggere la tua vita, altri possono aiutarti a ricostruirla». Paloma è una delle 2040 donne vittime di tratta e sfruttamento, non solo sessuale, prese in carico dal sistema nazionale anti-tratta nel 2020. La metà di loro è vittima di sfruttamento sessuale. L’incontro che le cambia la vita è quello con un’unità di strada in Lombardia: «Siamo stati coinvolti nel progetto WIN (Trafficked Women Integration) come ente anti-tratta per la nostra competenza sul territorio», racconta in occasione della Giornata europea contro la tratta degli esseri umani, istituita nel 2006. Il progetto, iniziato due anni fa, viene portato avanti in 3 Stati europei (Italia, Spagna, Bulgaria) per favorire l’integrazione sociale e lavorativa delle donne vittime di tratta.
Il progetto
«Perché l’unica via di uscita è l’integrazione sociale e lavorativa», racconta a Open Alessandro Boscardin, Responsabile Comunicazione del progetto. Boscarin lavora per Lule onlus, una delle realtà coinvolte in l’Italia insieme a Energheia Impresa Sociale e al Fondo Provinciale Milanese per la Cooperazione Internazionale che è il capofila. In Spagna è coinvolta l’associazione “Amiga por los derechos humanos de las mujeres”, in Bulgaria “Animus Association”. «Lavoriamo da 20 anni con le unità di strada nell’ovest milanese, nel pavese, nella binasca. Noi non salviamo le donne, non le portiamo via dalla strada. Offriamo un’alternativa: e sono loro a decidere di sottrarsi a questo racket», dice Boscarin. Il progetto WIN lavora sul passaggio dell’indipendenza finanziaria: quella che fa la differenza, e che può assicurare alle donne di non essere vittime di “ri-traffico” o ancora di sfruttamento.
Progetto WIN | In occasione della Giornata Europea contro la tratta, il 18 ottobre di ogni anno, il video “Shifting” racconta i risultati del progetto WIN
I numeri della tratta
Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, su 465.250 persone arrivate in maniera irregolare in Europa via terra e via mare tra il 2017 e la metà del 2020, 20.348 venivano dalla Nigeria. Soprattutto da Benin City, capitale dello stato di Edo: quello che viene definito l’hub africano della prostituzione. Le donne rappresentano la maggior parte delle vittime sfruttate come prostitute in Europa: il 92% tra il 2017-2018 (gli uomini sono invece il 6%). E sono più di 26 mila, secondo i dati Ue, le vittime di tratta in Europa: il 68% sono donne. Il 56% proviene da Paesi terzi, il 46% è sottoposto a sfruttamento sessuale. Tra il 2019 e il 2021 il progetto WIN ha coinvolto 57 donne – 15 in Italia, 21 in Spagna e altrettante in Bulgaria – avviate a percorsi individuali di integrazione sociale e lavorativa. 13 donne su 15 in Italia sono riuscite a ottenere un lavoro regolare o uno stage pagato: ora fanno le badanti, le pulizie, le commesse, le magazziniere o le addette all’assemblaggio. Qualcuna, addirittura, ha voluto prendere la patente per guidare il muletto. «Operiamo in un territorio molto fertile – quello milanese – e siamo riusciti ad attivare contatti con grandi aziende dove ora lavorano le donne che hanno partecipato al progetto», dice ancora Boscarin. «È stato importante trovare in questi interlocutori – interlocutrici, anzi: si è trattato quasi sempre di donne – sensibili al tema e attente al rispetto per le persone».
Il profilo delle donne
«Le beneficiarie del progetto italiano sono tutte di origine nigeriana, hanno tra i 20 e i 30 anni, alcune di loro sono arrivate in Italia e sono state fatte prostituire che erano ancora minorenni», racconta Angelica Poli, educatrice di Lule Onlus. Vengono tutte dall’Edo State, da Benin City o dai villaggi lì intorno. Poche hanno finito la scuola, quasi tutte hanno un livello di istruzione basso. «Ma hanno voluto seguire lezioni di informatica e di educazione civica e orientamento, corsi sulla sicurezza o nella ristorazione. Alcune di loro hanno portato a casa la patente per la guida di muletti». Lavorano in regola anche perché hanno tutte fatto tutte richiesta di protezione internazionale o di permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale: per poter lavorare in regola. I risultati, negli altri paesi, hanno numeri diversi: in Spagna il 19% ha ora un lavoro e il 9,5% uno stage; in Bulgaria il 24% ha un lavoro. In questi paesi le donne hanno un “profilo” un po’ diverso: vengono dall’Africa, dal Sud America, dall’Asia occidentale e sono più grandi – tra i 40 e i 50 anni. Con un livello di istruzione medio-alto e una buona conoscenza della lingua, lavori precari e il desiderio di accedere a mestieri di altro livello, per esempio nel settore dell’ospitalità e dell’insegnamento infantile in Spagna, nell’insegnamento, grafica e mondo bancario in Bulgaria.
October 18, 2021
In copertina Twitter/OIM
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