Dopo il tracollo alle Comunali l’accordo con il Pd agita il M5s. E nelle chat monta il malcontento
Se Virginia Raggi fosse arrivata al ballottaggio e avesse vinto la sfida per il Campidoglio, sarebbe stata messa in discussione la linea di Giuseppe Conte, primo fautore insieme a Enrico Letta di un’alleanza strutturale tra M5s e Pd. Ma con i “se” non si cambia il corso della politica: ci sono le dichiarazioni, le veline, gli incontri riservati e, soprattutto, i voti. Oggi, 18 ottobre, i risultati elettorali dicono che i grillini, in quell’abbraccio con i Dem, stanno soffocando le proprie pulsioni populiste. Niente consensi, percentuali che si aggirano intorno alla soglia di sbarramento e la perdita delle due città – Roma e Torino – che avevano fatto conoscere in tutto il mondo la parabola politica disegnata da Beppe Grillo. Città vinte andando contro – e non con – quella che chiamavano «casta».
Se Raggi fosse stata riconfermata al Campidoglio, forse i giornali non avrebbero scritto titoli del tipo «debacle 5 stelle». Ma dato che Raggi ha perso, Conte – presidente del Movimento da agosto – ha un motivo in più per giustificare il posizionamento del soggetto politico nel campo progressista: a Napoli, con il Pd, si è vinto al primo turno con Gaetano Manfredi. Stesso esito a Bologna. A Milano, Roma e Torino, invece, i 5 stelle sono fuori dalle giunte. Vincere con i Dem, ma a caro prezzo. Ovvero, vedere il proprio consenso evaporare velocemente, un consenso ancorato sempre più alla leadership del presidente del Consiglio che ha affrontato la prima fase della pandemia. Slegato, tuttavia, dai principi fondanti del Movimento.
Fino a che punto Conte è disposto a dilapidare quel bacino di voti legati all’idea primordiale del grillismo? Dopo la chiusura dei seggi del secondo turno, il presidente del Movimento ha atteso parecchio prima di uscire con una sua dichiarazione. Nessuna esultanza per la vittoria di Roberto Gualtieri – per il quale lui stesso aveva dato indicazione di voto -, nessuna congratulazione per Lo Russo che ha sconfitto Damilano, a Torino, portando a cinque su sei le vittorie del centrosinistra nei capoluoghi di Regione. Nemmeno al Pd, in generale, Conte destina un augurio.
«Il vero protagonista di questa tornata di ballottaggi è in modo drammatico l’astensionismo», si limita a dire. Consapevole che le anime più “movimentiste” del M5s stanno prendendo di mira, nelle chat, questa alleanza embrionale. Adesso è il tempo di ricucire i 5 stelle al proprio interno. La macchina organizzativa del Pd è troppo forte e non ha fatto altro che fagocitare gli alleati meno strutturati. Alleati che sì, fanno vincere il candidato in comune, ma che rischiano di «fondersi», come dice Letta, o meglio diluirsi nell’elettorato storico del centrosinistra. E scomparire.
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