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Road to Cop26 | L’attivista francese Méténier: «Se non ci ascoltano, ricorriamo ai tribunali» – L’intervista

21 Ottobre 2021 - 14:16 Giada Ferraglioni
In vista della Conferenza di Glasgow, in programma dal 31 ottobre al 12 novembre, Open ha intervistato diversi giovani attivisti in tutto il mondo. Il francese Nathan Méténier racconta le responsabilità dei Paesi ricchi e come la Francia ha gestito quello passato alla storia come «Affaire du siècle»

«Qui non si tratta di ridurre il ricorso all’industria fossile. Si tratta di abolirla. E di farlo entro il 2030». Nathan Méténier, attivista francese di 23 anni, non crede alle mezze soluzioni. Se c’è una parola, dice, che è emersa dall’intervento della sua delegazione alla Youth4Climate di Milano è «abolire». In questo momento storico bisogna essere chiari, spiega su Zoom. Mancano 9 anni alla deadline mondiale sulle emissioni stabilita negli accordi di Parigi nel 2015. Le aspettative delle giovani generazioni sono alte, e molti tra gli attivisti più giovani guardano alla Cop26 di Glasgow con estrema attenzione. Nathan, tra i membri più giovani del Gruppo consultivo giovanile delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, sarà presente al vertice dell’Onu per continuare il lavoro di sensibilizzazione iniziato alla PreCop di Milano. E per ricordare ai leader di Paesi ricchi come la Francia le loro responsabilità nella crisi. C’è un tema in particolare, fa notare Nathan, su cui non si deve indietreggiare: la giustizia sociale.

Gli errori dei Paesi ricchi

«Se i Paesi ricchi vogliono attuare una transizione climatica, allora devono farlo senza trascurare la giustizia sociale. Per ora non lo stanno facendo, e per questo gli attivisti devono ricorrere ai tribunali per farsi ascoltare». Il 14 ottobre scorso il Tribunale amministrativo di Parigi ha condannato il governo francese a rimediare entro il 2022 ai danni climatici dei quali era stato giudicato responsabile a febbraio 2021. La sentenza è arrivata nell’ambito del processo rinominato Affaire du siècle, proprio per la portata storica dell’evento. Eppure i Paesi ricchi del Nord del mondo sono quelli che investono di più nella transizione ecologica. In cosa stanno sbagliando? «Costruiscono centrali nucleari, parlano di auto ecologiche, di cibo biologico (ma industriale)», dice Nathan. «E io mi chiedo: chi dovrebbe farsi carico dei rifiuti tossici? E perché non parlano di ridurre il numero di automobili in circolazione, piuttosto che continuare a estrarre materie prime per costruire le batterie di quelle elettriche?».

Le responsabilità del Nord del mondo

Il Nord del mondo resta dunque responsabile della maggior parte delle emissioni pro capite. Nonostante questo, continua a investire in grandi progetti che coinvolgono l’industria fossile (come i gasdotti che collegano l’Unione europea all’Est del mondo) . «I primi che devono muoversi per cambiare le cose sono i ricchi del G7», fa notare Nathan. «Penso al Canada, agli Stati Uniti, alla Francia, al Regno Unito: questi governi devono smetterla subito di finanziare, direttamente o indirettamente, quell’industria». A pagare le spese più care del disastro climatico sono i Paesi più poveri, dove molto spesso quelli ricchi delocalizzano i loro affari inquinanti.

Cosa chiede Nathan alla Cop26

Cosa aspettarsi in questo senso dalla Cop26, dunque? «La cosa più importante è che venga preso un serio impegno per finanziare il fondo da 100 miliardi di dollari destinato ai Paesi in via di sviluppo per aiutarli a crescere in maniera etica e sostenibile». Questo, secondo Nathan, darebbe un segnale chiaro del fatto che i paesi più ricchi si stanno prendendo le loro responsabilità. «Stanziare questi soldi significa restituire ai popoli in difficoltà quello che gli abbiamo tolto».

Immagine di copertina: Elaborazione grafica di Vincenzo Monaco

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