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Quota 102, 103 e 104 per la pensione a 64 anni: cosa cambia nel 2022

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Il piano del governo Draghi e le due ipotesi sul tavolo: Ape contributiva secondo lo schema dell'Inps o tre scalini fino al 2024. Poi la Fornero

Il piano del governo Draghi per le pensioni e il superamento di Quota 100 ha due ipotesi sul tavolo. E la deadline è già tracciata: giovedì 28 ottobre la Legge di Bilancio dovrà essere approvata dal Consiglio dei Ministri. Con un accordo nella maggioranza. E un altro con i sindacati. Sulle cifre farà fede il Documento programmatico di bilancio (Dpb) inviato a Bruxelles. Per ciascun capitolo della manovra sono stati fissati gli stanziamenti e non si intende stravolgere quell’impianto. Per questo per l’uscita dal lavoro si ragiona intorno a due possibili riforme. La prima è un meccanismo con età fissa a 64 anni fino al 2024 e contributi crescenti. Ovvero, più o meno la proposta firmata da Pasquale Tridico dell’Inps. Che prevedeva l’uscita a 63 anni con l’Ape contributiva. E meno soldi fino al raggiungimento dei 67 anni della legge Fornero. La seconda invece tiene l’età del ritiro a 67 anni e prevede tre diversi sistemi di quote: 102 per il 2022, 103 per il 2023 e 104 per il 2024.

Tre quote per la pensione

La prima proposta, spiega oggi il Corriere della Sera, rappresenta una nuova versione dell’Ape (chiamata “contributiva). Prevede la possibilità per un lavoratore che ha 64 anni di età di andare in pensione (ma questa deve essere 1,2 volte sopra il minimo, ovvero di 618 euro al mese) in due tempi. Per tre anni subito con il metodo contributivo. E a partire dai 67 anni con il metodo retributivo. Nel frattempo, secondo la proposta dell’Inps, il prepensionato potrà continuare a lavorare. Il quotidiano spiega che una soluzione del genere ridurrebbe i costi e affermerebbe il principio che non devono essere i giovani a pagare il debito futuro di chi sceglie di andare in pensione oggi. La seconda proposta è quella delle tre quote per la pensione. Il governo apre alla possibilità di tenere per tre anni ferma l’età di uscita a 64 anni e aumentare gradualmente i contributi (38 anni nel 2022, 39 nel 2023, 40 nel 2024).

In questo modo nascerebbero Quota 102, Quota 103, Quota 104. La soluzione per ora non piace alla Lega. Che rilancia con Quota 41, la pensione con 41 anni di contributi. Magari tenendo ferma un’età minima in uscita per superare le forti perplessità del governo. La proposta, racconta oggi il Messaggero, è portata avanti per il Carroccio dall’ex sottosegretario Claudio Durigon. Mentre a bocciarla ci ha pensato ieri il segretario del Partito Democratico Enrico Letta a Che tempo che fa: «Il problema di fondo è che è sbagliato il metodo della Quota. Quota 100 è stato un errore: chi ne ha usufruito ha avuto un vantaggio ed è contento ma per l’80% sono uomini, è uno strumento diseguale che discrimina le donne. Secondo me più che il tema della Quota, le due cose da fare sono flessibilità a seconda dei lavori gravosi e poi dare un messaggio importante alle donne con Opzione donna».

Gli importi

E c’è anche da considerare lo scoglio dei sindacati. La Cgil ha bocciato il sistema delle quote con uno studio della Fondazione Di Vittorio che ha contato in appena diecimila persone i possibili beneficiari delle misure. Marialuisa Gnecchi, vicepresidente Inps ed ex deputata del Partito Democratico, oggi in un’intervista a Repubblica aggiunge che Quota 102 «servirebbe solo a chi era a un soffio da Quota 100 e aveva l’età ma non i 38 anni di contributi». Mentre per quanto riguarda Quota 104, «non si capisce bene a chi possa giovare. L’uscita a 66 anni sarebbe molto vicina ai 67 anni ordinari della vecchiaia». Per Gnecchi il requisito dei 38 anni è il vero muro per le donne: «Assolutamente. L’ultimo sconto, a parte l’Ape sociale, sul fronte dei contributi per le donne risale al 2000. Quando Livia Turco scontò due anni per lavori di cura. È ora di intervenire ancora». E gli importi? Come abbiamo raccontato, le simulazioni dicono che un dipendente pubblico o privato con stipendio intorno ai 1.600 euro che tra il 2019 e il 2021 è andato in pensione con Quota 100 percepisce un assegno mensile di circa 1.300 euro. Con Quota 102 lo stesso dipendente avrebbe più o meno lo stesso trattamento.

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