Pensioni, quando lanceremo “quota giovani”?
La discussione sulla necessità di correggere il presunto scalone che si verrebbe a generare per la fine di Quota 100 si fonda su alcune petizioni di principio che indirizzano il dibattito nella direzione sbagliata. La prima petizione di principio sta nel concetto stesso di “scalone”. È sbagliato sostenere che con la fine di Quota 100 si apre una voragine per le persone prossime al pensionamento ma, piuttosto, è vero il contrario. La scelta di introdurre, per un triennio secco, il regime di Quota 100 ha creato un regime di favore per una platea molto ristretta di lavoratori (poche centinaia di migliaia), che ora sta finendo. Per fortuna, aggiungiamo noi, visto che tale sistema si è concretizzato nel sostegno di lavoratori che potevano beneficiare già di un adeguato sistema di tutele e che avevano avuto carriere lavorative regolari; si è trattato di un aiuto a chi ne aveva meno bisogno, che non ha generato alcun reale ritorno occupazionale per il mercato. Invece di festeggiare la fine di questa deroga, un pezzo di sistema politico e il sindacato sono partiti con un nuovo assalto alla diligenza, chiedendo la riedizione, seppure in forma edulcorata, di un nuovo meccanismo di favore (tali sono i sistemi delle Quote 102, 104 o affini), concentrato sempre verso gruppi di lavoratori vicini alla pensione.
Il nodo – non solo tecnico ma anche politico – che va sciolto intorno a queste proposte, e più in generale rispetto a qualsiasi discussione sul tema pensionistico, è ben diverso: dobbiamo chiederci se è giusto, necessario e urgente mettere risorse aggiuntive, per “addolcire” un sistema previdenziale (quello creato dalla riforma Fornero del 2011) che ha portato l’età di pensionamento su livelli europei, e ha messo le basi per rendere sostenibile un sistema che era ormai fuori controllo. E dobbiamo anche ricordare, prima di dare una risposta a questa domanda, che qualsiasi modifica del sistema previdenziale – comprese quelle discusse tra le parti sociali, la politica e il Governo in questi giorni – dovrebbe essere fatta consultando gli unici soggetti che ne pagheranno i costi, ma che non sono stati invitati al tavolo: i giovani, quelli che domani pagheranno con il proprio lavoro i costi di queste scelte. E che rischiano di subirne le conseguenze negative quando, dopodomani, andranno loro in pensione.
Il sistema contributivo danneggia i giovani lavoratori precari
Giovani che dovranno certamente affrontare l’ultima parte della vita con un sistema previdenziale rigidamente contributivo, e quindi pagheranno più di tutti gli effetti negativi che produce la combinazione di questo sistema con l’eccessiva precarietà del lavoro che minaccia la stabilità delle loro carriere. Perché il sistema contributivo è tanto efficiente quanto spietato: meno contributi vengono versati, minore è la pensione. E c’è bisogno, quindi, di favorire la continuità lavorativa delle persone, per evitare che, una volta raggiunto il traguardo, le pensioni siano inadeguate.
Un problema rilevante che non viene mai messo nell’agenda del cantiere riforma delle pensioni. Tre sono le mancanze più gravi:
- non ci sono proposte di riforma del mercato del lavoro che aiutino i percorsi di stabilizzazione professionale;
- non c’è alcuna azione di contrasto verso i contratti precari (le false co.co.co., le partita iva irregolari, gli accordi pirata, il lavoro grigio e nero);
- manca qualsiasi riflessione su come “riconciliare” carriere lavorative frammentate e intermittenti con un sistema pensionistico che, giustamente, segue il sistema contributivo per restare in equilibrio.
Non c’è nulla per i giovani, salvo il conto da pagare: che sia Quota 100, 102 o 104, si tratta sempre di un conto ingiusto e indigesto.
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