Afghanistan: il corridoio umanitario che porterà in Italia 1200 rifugiati
Nei giorni della “presa” di Kabul, a metà agosto, da parte dei talebani, l’attività di salvataggio di questi afghani era stata, da parte dell’Occidente, frenetica. Quasi una sorta di toppa del tutto insufficiente su un “buco” che era una voragine: la decisione americana di lasciare il paese in una situazione che è sprofondata nell’oscurità talebana assai più velocemente di quanto gli stessi addetti ai lavori si aspettassero. Tanti, ma non abbastanza, sono riusciti a salire sugli aerei per l’occidente. Sono arrivati in Italia, Germania, Francia. Altri sono riusciti a fuggire in Iran e in Pakistan. Da qui, nei prossimi due anni, verranno organizzati dei corridoio umanitari sicuri alla volta dell’Italia, grazie a un protocollo che consentirà di portare in Italia 1.200 persone in due anni.
Il protocollo
L’iniziativa è portata avanti, scrive Repubblica, dai ministeri degli Esteri e della Difesa insieme alle organizzazioni umanitarie Comunità di Sant’Egidio, Chiese Valdesi, Arci, Caritas, Cei e il sostegno dell’Unhcr. Una via legale per lasciare Pakistan e Iran e una formula – quella dei corridoi umanitari – chiesta a gran voce da parte della società civile per rispondere alla crisi migratoria tutta e che ha già funzionato per tanti profughi eritrei, siriani, sud sahariani. E in Afghanistan ora, on l’inverno alle porte, avanza una crisi umanitaria senza precedenti, dicono le Nazioni Unite. I talebani stessi hanno affermato che l’Onu dovrebbe aiutarli nell’assistere quasi 3,5 milioni di afgani a tornare nelle loro case dopo essere stati sfollati all’interno del paese. Per questo cercano interlocutori e riconoscimento internazionale: il paese è sull’orlo della bancarotta.
In pericolo
Ci sono migliaia di vite sospese in Afghanistan. Vite interrotte con il ritorno dei talebani, Esistenze in pericolo, ree – agli occhi degli integralisti islamici – di aver collaborato a vario titolo con gli occidentali. Di essere “altro” rispetto alla loro idea di società. Un’idea sprofondata nel passato. Repubblica racconta per esempio la storia di Abdullah, un bimbo di otto anni che si è salvato dalla bomba all’aeroporto dove ha visto morir tanti bambini accanto a lui in fila. La sua famiglia è sulla lista nera dei talebani perché papà Khalid ha lavorato per anni con l’antiterrorismo e con l’intelligence della Nato dando la caccia ai jihadisti ora al potere. E poi c’è la storia di Hameeda, “rea” di essere una donna, una ginnasta, una che si è occupata di violenza di genere con l’ong “bon’t worry“. La sua storia terribile vede i talebani – che stanno letteralmente rastrellando tutti gli angoli a caccia di donne, che però non si arrendono, mentre non risparmiano i giornalisti – presentarsi a casa sua pochi giorni fa. Non trovandola, hanno optato per massacrare di botte la sua anziana madre. E poi ci sono le storie di Tameem e di sua sorella Sofia che curava i bimbi disabili per un’associazione italiana, Kabir e Ahmad che hanno lavorato per anni a fianco dei soldati italiani. E l’elenco potrebbe andare avanti per ore: vite sospese, sulle liste di evacuazione fin dalla prima ora, che nella migliore delle ipotesi sono riuscite ad andare in Pakistan e in Iran e che nella peggiore sono ancora prigioniere del nuovo corso afghano.
In copertina EPA | Una donna afghana in attesa di ricevere cibo da una ong tedesca a Kabul, Afghanistan, 27 ottobre 2021.
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