Il futuro della Lega nelle parole di Giorgetti: «Il problema non sono io ma quale linea intende sposare Salvini»
Che fosse il più governista dei leghisti era cosa nota. Che nel partito l’ala giorgettiana stesse prevalendo sulla fazione sovranista, altrettanto. Ma le ultime dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico, contenute nel libro di Bruno Vespa – Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando) in uscita per Mondadori Rai Libri – sono una doccia gelata sulla segreteria della Lega. «Il problema non è Giorgetti – dice di sé in terza persona -, che una sua credibilità internazionale se l’era creata da tempo. Il problema è se Salvini vuole sposare una nuova linea o starne fuori. Questa scelta non è ancora avvenuta perché, secondo me, non ha ancora interpretato la parte fino in fondo». Con una lunga metafora cinematografica, Giancarlo Giorgetti inquadra l’evoluzione – parziale – della parabola politica salviniana. «Matteo è abituato a essere un campione d’incassi nei film western. Io – prosegue il ministro leghista – gli ho proposto di essere attore non protagonista in un film drammatico candidato agli Oscar». E quando il giornalista fa notare al ministro che Giorgia Meloni continua a «mordere il fondo dei pantaloni» della Lega, il ministro replica sempre con una similitudine: «È vero, ma i western stanno passando di moda. Secondo me, sono finiti con Balla coi lupi. Adesso in America sono molto rivalutati gli indiani nativi».
La doppia anima della Lega
Giorgetti preannuncia una fase calante per il consenso di Fratelli d’Italia. «È difficile – conclude la parte cinematografica dell’intervista – mettere nello stesso film Bud Spencer e Meryl Streep. E non so che cosa abbia deciso». Questa metafora, invece, è riferita alla domanda di Vespa sulla possibilità di far convivere pacificamente l’anima giorgettiana e l’anima salviniana nel Carroccio. «Lei mi chiede se io e Salvini riusciremo a mantenere un binario comune? Continueremo a lavorare così finché il treno del governo viaggia veloce, altrimenti rischiamo noi di finire su un binario morto». Guai a definirle, però, due linee diverse nel partito. Al massimo «sensibilità diverse» che coesistono anche grazie alla caratura dell’esecutivo Draghi. È lo stesso ministro, però, a proporre l’ex banchiere come futuro inquilino del Colle, eventualità che lo costringerebbe a lasciare Palazzo Chigi. Non è la prima scelta di Giorgetti, che rivendica la paternità della proposta di confermare Sergio Mattarella per un altro anno. «Se questo non è possibile, va bene Draghi – al Quirinale. Da presidente della Repubblica -, Draghi potrebbe guidare il convoglio governativo anche da fuori. Sarebbe un semipresidenzialismo de facto, in cui il presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole».
La partita europea
Tornando alle questioni interne al suo partito, il ministro sembra auspicare il passaggio della Lega – in Europa – nella famiglia del Ppe. «Un’ipotesi che regge se la Cdu non si sposta a sinistra. Armin Laschet, il candidato sconfitto alle elezioni, è un’espressione della nomenklatura del partito. C’è fermento, gli elettori chiedono una partecipazione dal basso, ci si aspetta che si guardi a destra più che a sinistra. La Cdu deve ricrearsi una natura liberale, moderata e conservatrice. Anche guardando al Partito popolare europeo». Il cambio di gruppo implicherebbe l’abbandono di Identità e democrazia, del quale fanno parte il Rassemblement National e l’Alternative für Deutschland. «Se vuole istituzionalizzarsi in modo definitivo, Salvini deve fare una scelta precisa. Capisco la gratitudine verso la Le Pen, che dieci anni fa lo accolse nel suo gruppo. Ma l’alleanza con l’AfD non ha una ragione», dice. Il membro dell’esecutivo non usa mezzi termini sulla parabola politica del segretario del Carroccio: «La svolta europeista – di Salvini – è incompiuta. Ha certamente cambiato linguaggio. Ma qualche volta dice alcune cose e ne fa altre. Può fare cose decisive e non le fa». Giorgetti esclude di cercare una nuova collocazione politica per se stesso, «perché io non ho bisogno di un nuovo posto. Io voglio portare la Lega in un altro posto. Non ci sono due linee – ribadisce, nel partito -. Amando le metafore calcistiche, direi che in una squadra c’è chi è chiamato a fare gol e chi è chiamato a difendere. Io, per esempio, ho sempre amato Andrea Pirlo. Qualcuno deve segnare, qualcuno deve fare gli assist».
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