Il servizio di «Report» sui vaccini strizza l’occhio ai No vax e ai No Green pass?
La recente inchiesta sui vaccini anti Covid di Report, condotto da Sigfrido Ranucci su Rai3, è stato definita «Propaganda No vax», a tal punto che la Commissione di Vigilanza Rai ha chiesto un chiarimento ai vertici Rai. Il servizio è stato preso come buono da parte delle aree No vax e No Green pass, ma in entrambi i casi sbagliano. Non si riscontra un messaggio che sconsigli la vaccinazione, ma vi sono diversi punti critici che si aprono al fraintendimento e che richiamano certe narrazioni distorte, come l’idea che le varianti Covid siano causate dalle campagne vaccinali.
Per chi ha fretta:
- La trasmissione televisiva Report ha pubblicato un servizio dal titolo Non c’è due senza tre dedicato alla terza dose di vaccino contro la Covid-19
- Il servizio non smentisce l’efficacia dei vaccini e della loro protezione contro le forme gravi della malattia.
- In alcuni passaggi del servizio viene trasmessa, attraverso gli intervistati, l’idea che un vaccinato possa essere sorprendentemente contagiato dal Sars-Cov-2. Questa possibilità non è mai stata esclusa fin dalle fasi di sperimentazione dei vaccini.
- Il servizio contesta la mancanza di uno studio nazionale sullo stato anticorpale dei vaccinati nel tempo, ma esistono già studi stranieri con un ampio numero di partecipanti che forniscono le informazioni necessarie.
- L’unico studio in corso in Italia è quello dell’ospedale Niguarda di Milano, il cui responsabile afferma che nonostante tutto il vaccino continua a fornire protezione contro le forme gravi della malattia.
- Non bastano i test sierologici per comprendere le informazioni necessarie sull’effettivo stato della protezione. Bisogna parlare di correlato di protezione, tenendo conto anche della immunità cellulare data dalla presenza dei linfociti B e T.
- Il Green Pass non è una garanzia di protezione, in quanto l’obiettivo è quello di abbassare le possibilità di contagio.
- Gli esempi e le testimonianze americane confermano la necessità di mantenere ancora salde le misure di sicurezza per evitare la diffusione del virus (mascherine e distanziamento) e frenare il contagio.
- Pfizer non è stata l’unica a “smascherare” il gruppo di controllo che aveva ricevuto un placebo al posto del vaccino durante la sperimentazione. Tale decisione seguiva i principi etici della ricerca scientifica, in particolare quello della non maleficenza.
- Non risulta che Aifa abbia commesso un errore nella somministrazione del booster Moderna, avendo seguito le raccomandazioni dell’EMA fino al recepimento dei dati della casa farmaceutica dichiarati dalla stessa come “da verificare”.
Analisi
«Il virus sta girando, gira anche tra i vaccinati», sostiene il presentatore a inizio puntata. Si tratta di un argomento complesso e di facile mala interpretazione se sintetizzato con troppa semplicità. Il virus circola, la possibilità che possa infettare un vaccinato non è affatto una novità e lo abbiamo sempre detto, non solo a Open Fact-checking, fin dagli inizi della campagna vaccinale; lo dicono gli stessi studi scientifici che hanno portato all’approvazione dei vaccini.
Vaccini e varianti Covid
Nella narrativa sostenuta dai No Vax e dai contestatori del Green Pass, si accusano gli scienziati e le istituzioni di aver proposto alla popolazione mondiale dei vaccini efficaci al 100% (se non addirittura al 101%) in modo tale che, di fronte al primo caso di infezione di un vaccinato, si potesse sostenere l’invalidità del prodotto. Mai, e poi mai, è stata sostenuta scientificamente una efficacia così perfetta nei vaccini, neanche in quelli del passato, pertanto non ci sono sorprese. A titolo d’esempio potete leggere cosa riportavamo nel dicembre 2020, nella nostra Guida ai vaccini anti-Covid, oppure la nostra analisi del mese successivo sulla presenza delle varianti durante le campagne vaccinali.
Quella della nascita di varianti pericolose a seguito delle vaccinazioni è proprio un cavallo di battaglia dei No vax. Secondo questa visione il virus reagirebbe autonomamente al Sistema immunitario, mutando di conseguenza. Il virus circola e «si trasforma», continua Ranucci citando i vaccinati contagiati, il ché potrebbe fornire in maniera molto semplice un assist a coloro che vogliono contrastare la campagna vaccinale per un presunto pericolo di varianti più resistenti.
A differenza dei batteri – che si moltiplicano autonomamente evolvendo e generando la antibiotico-resistenza – come abbiamo più volte spiegato (per esempio, qui e qui), buona parte degli esperti non considera i virus degli esseri viventi, perché la loro replicazione non è autonoma, necessita infatti di infettare le cellule del corpo ospite. Grazie a questa replicazione possono insorgere degli errori nella “copiatura” del virus, che potrebbe portarlo a una condizione a lui favorevole o sfavorevole. In un corpo vaccinato le difese immunitarie riducono di gran lunga le possibilità di replicazione del virus e dunque della formazione di eventuali varianti. In un corpo non vaccinato, laddove il virus circola e si replica in maniera incontrastata, il pericolo aumenta.
«Abbiamo la variante Delta», ricorda Ranucci, che è stata scoperta non durante il periodo della campagna vaccinale e ancor prima dell’approvazione del primo vaccino anti-Covid al mondo. Infatti, risulta che il primo caso sia stato riscontrato nel mese di ottobre 2020 in India, dove il virus aveva – e purtroppo ha ancora – buone possibilità di replicazione e di eventuali mutazioni di interesse. Queste evidenze andrebbero precisate, al fine di non fornire concetti e interpretazioni utilizzabili erroneamente dagli ambienti No Vax. In generale tutte le varianti più significative sono apparse prima dell’introduzione dei vaccini nei Paesi d’origine.
I vaccini proteggono soprattutto contro le forme gravi di Covid-19
Durante il servizio si riporta la notizia del contagio da parte degli operatori sanitari, tra i primi a ricevere la vaccinazione anti-Covid, e che avrebbero riscontrato dei sintomi. Tale possibilità non era affatto remota anche agli inizi della campagna vaccinale, questo perché dagli studi effettuati non esisteva affatto un’efficacia totale e che comunque l’obiettivo era quello di impedire lo sviluppo delle forme più gravi della malattia. C’è da dire che questo non viene negato durante il servizio, al contrario viene ricordato dallo stesso conduttore durante un suo intervento.
Il tema principale del servizio riguarda il calo dell’efficacia e della necessità della terza dose. A tal proposito – come spieghiamo in un recente articolo – sappiamo che è piuttosto normale una dose booster entro l’anno per i vaccini antigenici, come quelli anti-Covid, ovvero orientati principalmente contro l’antigene responsabile del legame del virus con le cellule: in questo caso la proteina Spike.
Nel servizio di Report vengono intervistati alcuni infermieri e operatori sanitari, tra questi uno dell’ospedale Sant’Andrea di Roma che aveva ricevuto entrambe le dosi a dicembre 2020 e gennaio 2021, risultando positivo al SARS-CoV-2 a settembre 2021. Lo stesso infermiere afferma che aveva dei tipici sintomi influenzali, senza denunciare lo sviluppo di una forma grave della malattia. Non soltanto lui, ma anche i suoi familiari e genitori – tutti vaccinati con doppia dose – sarebbero risultati positivi, ma anche per loro non vengono citate eventuali necessità di ospedalizzazione.
Serve un nostro studio sugli anticorpi?
Sebbene il servizio riscontri una mancanza del monitoraggio negli operatori sanitari, attraverso test PCR che verifichino eventuali contagi, il dubbio sull’efficacia dei vaccini risulterebbe essere la mancanza di uno studio nazionale sulla presenza degli anticorpi e della loro permanenza a lungo termine nel corpo. In realtà esistono degli studi sulla risposta anticorpale nel tempo, come abbiamo riportato in un articolo di Open Fact-checking del 29 ottobre 2021. Si tratta di uno studio pubblicato su Nature il 14 ottobre 2021, condotto dai ricercatori dell’Università di Oxford assieme all’Ufficio nazionale di statistica del Regno Unito.
La ricerca aveva lo scopo di verificare l’efficacia dei vaccini su un campione di 384 mila pazienti nel periodo della variante Alfa e di 358 mila pazienti durante il periodo della variante Delta, attraverso sia i tamponi PCR che con il test anticorpale ELISA. I vaccini in esame sono Pfizer e AstraZeneca, mentre per Moderna non c’erano dati sufficienti in particolare nel proprio periodo.
Secondo le analisi condotte dai ricercatori, la protezione per i casi lievi si riduceva nel tempo pur mantenendo un’efficacia contro le forme gravi. Per quanto riguarda la carica virale, dopo tre mesi Pfizer si attestava a una riduzione del 78% e AstraZeneca al 61%, confermando la loro importanza nell’impedire le possibilità di trasmissione del virus da parte dei vaccinati. Certo è che esistono dei casi rari, come quelli riscontrati anche dai CDC americani, tra questi soprattutto nelle persone fragili e con un sistema immunitario compromesso, per i quali è stata prevista la necessità della Terza dose.
Quale è l’utilità dei test sierologici
C’è da dire che nel servizio di Report viene citato l’operato dell’ospedale Niguarda di Milano, dove vengono effettuati numerosi test sierologici per verificare l’andamento degli anticorpi nei vaccinati. Secondo le dichiarazioni fornite, anche dal responsabile dello studio milanese; dopo sei mesi dalla seconda dose gli anticorpi a disposizione sono comunque ritenuti capaci di proteggere il corpo dalla Covid nelle sue forme gravi. Risulta chiaro che le analisi condotte non ci permettono ancora di comprendere il momento in cui il livello di anticorpi toccherà quella “soglia critica”, oltre la quale sarà necessario un richiamo del vaccino.
Per quale ragione Report pone un accento così marcato sui test sierologici? La stessa domanda se l’è posta Aureliano Stingi, PhD in Cancer Biology, che collabora con l’OMS contro l’infodemia: «Tranne alcuni ospedali dove si studia il correlato di protezione, il test sierologico ha significato puramente epidemiologico – continua Stingi – cioè serve a studiare la pandemia, quante persone si sono infettate eccetera. Il classico test sierologico non ci dà informazioni sulla protezione».
Il correlato di protezione, ovvero l’insieme di dati che ci permettono di misurare quanto si è al riparo dalla malattia, non è facile da ottenere con metodi veloci ed economici. È possibile ottenere piuttosto delle stime. Questo perché bisogna tener conto anche della immunità cellulare, data dalla presenza dei linfociti B e T.
L’idea che passa durante il servizio di Report è che si sarebbe introdotta la terza dose in quanto non abbiamo fatto abbastanza test sierologici in Italia. Secondo Aureliano Stingi, questo risulterebbe fuorviante: «Lo studio sierologico fatto nelle sedi opportune con gli strumenti opportuni ci può descrivere la perdita di efficacia degli anticorpi ma non avrebbe senso usarlo per posticipare o addirittura negare una terza dose. Israele ci mostra come le terze dosi siano fondamentali – spiega Stingi – Dobbiamo tenere conto che la risposta immunitaria è estremamente eterogenea e il virus muta quindi non ha senso vaccinare solo chi ha un titolo basso, si osserva come scendono gli [anticorpi, Ndr] nella popolazione e poi si somministra la terza dose a tutti ( fragili, anziani)».
L’estensione del Green Pass a 12 mesi
Il servizio pone dei dubbi sull’estensione del Green Pass da 9 a 12 mesi per i vaccinati. Su quali basi scientifiche viene posta tale decisione? Nessuna, secondo quanto afferma Report, ponendo nella condizione le aree No Green pass di sostenere l’inutilità della certificazione verde.
Tra gli intervistati troviamo anche il microbiologo Andrea Crisanti, il quale non si dichiara a favore dell’estensione della validità dei Green Pass da 9 a 12 mesi per i vaccinati: «Abbiamo sentito molti politici dire “Col il Green Pass creiamo degli ambienti sicuri”, non è assolutamente vero questo». Questa frase andrebbe contestualizzata, ricordando che la certificazione viene fornita anche ai non vaccinati e per un periodo in cui potrebbero insorgere dei sintomi con la possibilità di trasmissione del virus. Di fatto, il Green pass serve solo per abbassare le possibilità di contagio all’interno di un ambiente che dovrebbe essere controllato, come abbiamo spiegato in un articolo del 27 ottobre a seguito della diffusione di QR Code validi e intestati ad Adolf Hitler:
Il Green Pass, così come tutto il sistema che circola intorno, non è perfetto. Non si tratta di una protezione totale contro il Sars-Cov-2, a quello non interessa se avete un QR code valido nel vostro smartphone o nel foglio stampato custodito nel portafoglio. Il certificato verde serve solo per abbassare le possibilità di contagio all’interno di un ambiente che dovrebbe essere controllato. La mancanza di quest’ultima condizione, con la presenza di una persona non vaccinata e senza mascherina dentro un bar, aumenta il rischio di infezione da parte di chi ha seguito correttamente le regole di sicurezza. Stesso discorso vale per gli ambienti di lavoro.
Il caso americano di Provincetown
Report cita nel suo servizio due esempi ritenuti fondamentali per spiegare la situazione relativa ai vaccini e la protezione dal virus. Il primo è quello della località turistica Provincetown, situata nella penisola di Cape Cod (Massachusetts), dove il 95% della cittadinanza risultava vaccinata.
Intervistato da Report, il direttore del Provincetown Indipendent si riteneva al sicuro dal virus nonostante l’arrivo di oltre 100 mila turisti che, visto il mal tempo, si erano ritrovati ammassati nei locali al chiuso senza mascherine, una condizione favorevole alla circolazione del virus in presenza di almeno un infetto contagioso all’interno di un locale. Anche i turisti erano vaccinati? Non è detto, così come dobbiamo ricordare che anche negli Stati Uniti ci sono stati problemi riguardo alle false certificazioni vaccinali per aggirare le restrizioni ai non vaccinati.
Come nel caso dell’operatore sanitario del Sant’Andrea di Roma, viene intervistato un cittadino americano completamente vaccinato e contagiato durante i festeggiamenti del 4 luglio a Provincetown. Si sentiva sicuro, afferma davanti alle telecamere, ma anche per lui si è trattato di una forma lieve della malattia.
In base ai dati raccolti a Provincetown, Report cita un’analisi pubblicata dai CDC americani – che avevamo trattato in precedenti articoli (qui e qui), dove si sosterrebbe che la carica virale tra vaccinati e non vaccinati sia la stessa, diversamente dalle dichiarazioni di un ufficiale sanitario federale interpellato dal Washington Post: «Sebbene sia raro, riteniamo che a livello individuale le persone vaccinate possano diffondere il virus». La stessa contestazione era stata fatta a Fauci, il quale riportava che tale evento risultasse effettivamente raro (si vedano in particolare due interventi del Virologo, qui e qui).
L’analisi citata da Report, infine, chiarisce che le vaccinazioni forniscono una protezione sostanziale contro il virus, ricordando il rischio individuale a seconda di diversi fattori come l’età e l’eventualità di un sistema immunitario compromesso. Per questo motivo, gli autori dell’analisi suggerivano la possibilità di una dose aggiuntiva del vaccino per determinate categorie di persone.
C’è da dire che l’analisi citata da Report – e ampiamente trattata dal Washington Post – presenta una nota che non deve essere affatto ignorata:
«The findings and conclusions in this report are those of the authors and do not necessarily represent the official position of the Centers for Disease Control and Prevention».
In pratica, non risulta possibile affermare con certezza che il documento sia emanazione di un parere ufficiale da parte dei CDC americani.
Il caso di Naples (Florida)
Il servizio di Report continua a Naples, in Florida, dove viene intervistato il direttore dell’area Covid del NCH Baker Hospital, David Lindner. Quest’ultimo afferma che la recente ondata di contagi sia risultata peggiore rispetto a quelle passate, costringendo il suo reparto a intubare i pazienti persino nei corridoi. Una situazione che pare assurda rispetto all’elevata percentuale di vaccinati nel territorio, ma lo stesso direttore spiega che l’86% dei ricoverati erano non vaccinati. Non solo, David Lindner parla delle diverse variabili che avrebbero portato a tale situazione: oltre ai non vaccinati e all’arrivo della variante Delta, a favorire la diffusione del virus erano stati anche i comportamenti irresponsabili di coloro che si erano stufati di mascherine e distanziamenti.
Il caso Pfizer sul gruppo di controllo (placebo)
Intervistato da Report, il Prof. Peter Doshi dell’Università del Maryland contesta la decisione da parte di Pfizer di far uscire i partecipanti dal trial a seguito dell’approvazione del vaccino a dicembre 2020. Secondo Doshi, i dati di un trial risulterebbero più precisi nell’efficacia a lungo termine rispetto a quelli “provenienti dal mondo reale”, in quanto verificabili da un gruppo di controllo composto da persone che hanno preso un placebo.
Risulta vera l’informazione che il gruppo di controllo, che aveva ricevuto un placebo, sia stato letteralmente ridotto. Si tratta di un danno per la ricerca? Ciò che non viene posto nel servizio è la questione etica nei confronti di circa 22 mila partecipanti, per i quali bisogna tenere in considerazione il principio di non maleficenza.
Il principio di non maleficenza riguarda l’obbligo di non causare danno, in questo caso nei confronti di coloro che avevano ricevuto un placebo. In che modo? Prolungando il rischio di contrarre la malattia di fronte a un vaccino approvato a seguito delle tre fasi di sperimentazione. Considerando che nessuno dei partecipanti alla sperimentazione era a conoscenza del gruppo di appartenenza, coloro che avevano ricevuto un placebo potevano abbassare la guardia ritenendosi protetti da qualcosa che però non avevano affatto ricevuto. Ecco perché, di fronte a una pandemia globale e un prodotto ritenuto efficace, risultava eticamente corretto informare i partecipanti che avevano ricevuto un placebo “smascherandoli”.
Un gruppo di esperti dell’OMS suggeriva i “confini etici” da rispettare nel gruppo di controllo nella sperimentazione dei vaccini anti Covid, ritenendolo non più necessario di fronte a un prodotto sicuro ed efficace disponibile.
Secondo quanto dichiarato da Moncef Slaoui, responsabile dell’operazione Warp Speed del Governo americano, i volontari della sperimentazione dovevano essere ricompensati per i rischi corsi. Secondo Susan Ellenberg, esperta di studi clinici dell’Università della Pennsylvania, non risultava ragionevole o fattibile tenere il gruppo di controllo attivo per due anni.
Ecco perché sia Pfizer che Moderna avevano informato, tra la fine di dicembre 2020 e inizio 2021, i partecipanti che avevano ricevuto un placebo del loro reale stato di vaccinazione, offrendo loro la possibilità di ricevere il prodotto approvato.
In mancanza del gruppo di controllo, i dati raccolti da Pfizer riguardano risultano di tipo osservazionale sugli effettivi vaccinati.
Il caso Aifa e il boost pieno del vaccino Moderna
Secondo Report, Aifa avrebbe deciso di fornire una terza dose completa del vaccino Moderna nonostante le indicazioni della casa farmaceutica. Quest’ultima, in data 3 settembre 2021, aveva annunciato sul proprio sito la presentazione all’EMA dei dati relativi alla somministrazione del booster non in forma intera, ma dimezzata. Ecco perché, sempre secondo Report, Aifa avrebbe fatto un errore somministrando una dose intera a chi aveva bisogno della terza dose.
C’è da dire che il comunicato di Moderna non denuncia problemi di sicurezza nel caso di somministrazione di una terza dose intera, mentre afferma che dimezzandola possa garantire una buona efficacia e protezione anche contro la variante Delta. C’è un ulteriore punto che non viene spiegato da Report, ossia che la stessa azienda dichiari che i propri dati non siano stati ancora sottoposti a pubblicazione peer review, un fatto non trascurabile.
Il giorno prima del comunicato di Moderna, il 2 settembre 2021, l’EMA e l’ECDC (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) avevano dichiarato che in base alle prove attuali dovevano essere già prese in considerazione le somministrazioni delle terze dosi per le persone che presentano un sistema immunitario indebolito e in forma precauzionale per gli anziani con fragilità. Tali indicazioni vennero recepite da Aifa in data 14 settembre 2021, in attesa di nuovi sviluppi come preannunciato da entrambi gli enti europei.
Il 4 ottobre 2021 EMA raccomandava ancora la terza dose, sia con Pfizer che con Moderna, nelle persone con un sistema immunitario indebolito senza ancora specificare o suggerire un cambio della dose, mantenendo quella piena.
Dobbiamo attendere il 25 ottobre quando EMA recepisce i dati di Moderna sulla mezza dose, comunicando ufficialmente la raccomandazione lasciando ai singoli Stati la decisione sul da farsi. Aifa, di fronte a questa possibilità, decide di proseguire la somministrazione delle terze dosi in forma dimezzata.
Non vengono denunciati problemi di sicurezza sulla somministrazione del booster con una dose intera di Moderna, né dalla società produttrice né dagli enti europei, ma l’effettiva possibilità di raddoppiare le cartucce a disposizioni ottenendo un risultato ritenuto ottimale per proteggere le persone che ne avevano necessità.
Non risulta corretto sostenere che ci sia stato un errore da parte di Aifa, la quale si è affidata ai pareri dell’EMA e dell’ECDC in base ai dati di Moderna che dovevano essere ancora confermati. Bisognerebbe domandarsi cosa sarebbe successo se, seguendo il comunicato di Moderna, l’EMA avesse sconsigliato la mezza dose.
Conclusioni
Di fatto, il servizio non dimostra in alcun modo una mancata efficacia dei vaccini e della loro protezione contro le forme gravi della malattia.
Viene trasmessa l’idea di una presunta “sorpresa” nel riscontrare dei vaccinati contagiati dal virus, ma come sappiamo fin dagli studi del 2020 non risulta essere affatto una possibilità remota.
Le testimonianze e i pareri dei medici intervistati da Report forniscono un riscontro favorevole alle vaccinazioni, così come una forte critica nei confronti dei non vaccinati e di coloro che, stufi o contrari, non seguono le linee guida utili per contrastare la diffusione del virus: l’uso delle mascherine e il distanziamento, per esempio.
Questi elementi risultano sufficienti per contestare l’uso strumentale del servizio da parte degli ambienti No Vax e No Green Pass. Resta, tuttavia, la contestazione del presunto errore da parte di Aifa che genera sfiducia nei confronti della gestione istituzionale, nonostante sia stato seguito un iter consolidato con l’ente regolatore europeo, e timori per coloro che hanno ricevuto il booster intero di Moderna.
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