No! L’Ue non ha intimato al governo italiano di rimuovere il Green Pass entro 30 giorni
La questione del Green Pass, del Regolamento Europeo 953/2021 che lo disciplina a livello europeo e del decreto 127/2021 che lo introduce in Italia, continua a farla da padrone nel dibattito pubblico. Diverse sono state le interrogazioni parlamentari o i ricorsi presso le corti da parte di alcuni avvocati per sostenerne la presunta illegittimità, fornendo teorie giuridiche a sostegno della propaganda No Vax e No Green Pass. La più recente riguarda la presunta notizia che l’Unione europea avrebbe intimato il Governo Draghi a «togliere il Green Pass entro 30 giorni». Non è chiaro da quando partirebbe questo conto alla rovescia, preso per buono tramite un meme diffuso via Twitter da Alessandro Meluzzi e riproposto – sotto forma di screenshot – via Facebook. Non si trovano riscontri di tale richiesta nei siti istituzionali europei. La fonte del meme potrebbe l’europarlamentare Sergio Berlato (FdI), il quale sostiene che la Commissione europea avrebbe “bocciato” il Green Pass italiano. A seguito di una nostra verifica, le dichiarazioni riportate nel meme e dall’europarlaentare non corrispondono al vero.
Per chi ha fretta
- La Commissione europea, nel rispondere all’interrogazione parlamentare dell’On. Berlato, non ha mai detto che l’uso italiano del Green Pass è contrario alle norme europee, ma ha anzi confermato il contrario, ossia che gli Stati membri possono fare uso del Green Pass nel proprio territorio per altre finalità, a patto che ci sia una legge interna che lo prevede e che non sia violata la normativa sulla privacy.
- La sentenza della Corte di Giustizia Europea ha dato torto all’avv. Sandri, affermando che il Green Pass non è condizione preliminare per l’esercizio del diritto di circolazione e che in ogni caso il suo ricorso non ha dimostrato la sussistenza di un danno grave e irreparabile, tale da giustificare la sospensione della misura e l’annullamento del Regolamento Europeo.
- A oggi, tutte le sentenze di livello nazionale ed europeo stanno confermando la validità del Green Pass e la legittimità della normativa italiana sul suo utilizzo.
Analisi
Riportiamo di seguito lo scrreenshot e il testo del meme condiviso da Alessandro Meluzzi il 4 novembre 2021: «L’Unione Europea ha intimato al governo italiano di dare tutte le spiegazione del caso e di togliere il Green Pass entro 30 giorni secondo la legge europea 953/2021-. Gravissimo che non sia riportato da nessun quotidiano italiano».
Il meme è circolato anche via Facebook, in alcuni casi proponendo lo screenshot dell’intero tweet di Alessandro Meluzzi:
Quali sarebbero le fonti dei «30 giorni» e la presunta violazione della «legge 953/2021»? Le dichiarazioni dell’Onorevole Berlato rilasciate inizialmente tramite un video pubblicato nella sua pagina Facebook ufficiale, attraverso un comunicato pubblicato sul proprio sito e un’intervista rilasciata a un sito romano.
Ecco la prima parte del comunicato dell’On. Berlato pubblicato sul proprio sito:
L’Europa dà ragione all’onorevole Sergio Berlato
“La Commissione europea risponde alla nostra interrogazione depositata il 28 luglio 2021, con la quale chiedevamo che la stessa Commissione si pronunciasse sull’uso improprio e discriminatorio che l’Italia sta facendo del Green Pass”. La Commissione europea rispondendo all’interrogazione presentata dall’onorevole Sergio Berlato gli dà ragione.
Nessuna richiesta al governo italiano
Il meme condiviso da Alessandro Meluzzi pone una certezza, ossia che sia già in corso un conto alla rovescia di 30 giorni (senza dire da quando) per i quali il Governo italiano sarebbe intimato ad eliminare il Green Pass. L’unica fonte riscontrata è un’intervista rilasciata dall’europarlamentare Berlato al sito Romait.it, riportata nell’articolo del 24 ottobre 2021 dal titolo «Berlato ottiene dall’UE il rispetto della legge: “Non va discriminato chi non si vaccina”».
Nell’intervista non vi è alcuna certezza che sia in corso una richiesta al Governo italiano da parte dell’Unione europea o della Commissione europea in merito al Green Pass. Infatti, l’europarlamentare spiega soltanto le procedure e i tempi previsti nel caso venisse accertata l’infrazione da lui sostenuta:
Cosa accadrà adesso?
Una volta che sarà accertata quest’infrazione da parte del governo italiano, la commissione procederà, intimando il rispetto del regolamento vigente in tutti gli Stati Membri dell’Unione europea. Il lasciapassare è comunitario; non ha nulla a che vedere con l’uso improprio italiano. Ho chiesto la procedura d’infrazione (ci sono delle procedure ben codificate) e quindi possiamo sperare che il governo poi ritiri quest’unicità italiana, rappresentata da questo strumento di ricatto vaccinale’’.
In quali tempi?
Ora ci sarà una comunicazione formale da parte dell’ Europa; l’Italia entro 30 giorni dovrà esibire la documentazione richiesta dalla Commissione europea per verificarne l’utilizzo improprio.
L’interrogazione parlamentare e la vera risposta della Commissione
L’On. Berlato, europarlamentare di Fratelli d’Italia, ha promosso un’interrogazione parlamentare per chiedere alla Commissione Europea di far dichiarare illegittimo l’uso del Green Pass “all’italiana” in quanto in contrasto con la normativa europea:
Premesso che al considerando 36 del regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021, viene sancito un divieto di discriminazione diretta o indiretta circa le persone che non sono vaccinate, si chiede alla Commissione:
1. Ritiene che il nuovo “green pass” italiano rispetti i dettami di cui al considerando 36 sopraccitato?
2. Permettere solo alle persone vaccinate, a quelle che siano guarite dalla COVID-19 negli ultimi 6 mesi o a quelle che si siano sottoposte a tampone nelle ultime 48 ore di accedere a pubblici esercizi, spettacoli, eventi e competizioni sportive, musei, istituti e luoghi di cultura, piscine, palestre, centri benessere, fiere, sagre, convegni e congressi, centri termali, parchi tematici e di divertimento, centri culturali e ricreativi, sale da gioco e casinò, concorsi pubblici non discrimina forse coloro che hanno scelto di non vaccinarsi o che non possono vaccinarsi, ma che rispettano tutte le norme igienico-sanitarie prescritte, soprattutto dal momento che è scientificamente dimostrato che anche i vaccinati possono essere portatori del virus della COVID-19 e che quindi anch’essi dovrebbero sottoporsi a tampone?
3. Effettuare un tampone ogni 48 ore ha un costo di non poca rilevanza; non rappresenta anche questo una fonte di discriminazione?
La risposta, pubblicata il 20 ottobre 2021, è stata interpretata dall’On. Berlato come una conferma dell’illegittimità del Green Pass italiano. Ecco quanto spiegato dall’europarlamentare nel comunicato pubblicato il 22 ottobre 2021 sul proprio sito:
In base a quanto stabilito dalla Commissione europea l’uso nazionale dei certificati COVID-19 per scopi diversi da questo non rientra nell’ambito di applicazione del regolamento UE 953/2021, di conseguenza, il Green Pass italiano non rispetta i dettami della normativa europea e della Risoluzione 2361 (2021) del Consiglio d’Europa
Nella sua risposta, la Commissione ha detto espressamente che «l’uso nazionale dei certificati COVID-19 per scopi diversi dall’agevolazione della libera circolazione all’interno dell’UE non rientra nell’ambito di applicazione di tale regolamento». Che cosa significa? Il Regolamento Europeo disciplina l’uso del Green Pass per gli spostamenti transfrontialieri tra i Paesi membri, non il suo utilizzo all’interno dei singoli Stati.
La Domestic Jurisdiction
Che cos’è la Domestic Jurisdiction? Si tratta di un concetto strettamente collegato alla nozione di sovranità che riguarda quelle materie per le quali uno Stato non è vincolato da obblighi internazionali. Questo ci ricollega al Considerando 13 del Regolamento 953/2021 citato nel meme:
Sebbene lasci impregiudicata la competenza degli Stati membri nell’imporre restrizioni alla libera circolazione, in conformità del diritto dell’Unione, per limitare la diffusione del SARS-CoV-2, il presente regolamento dovrebbe contribuire ad agevolare la graduale revoca di tali restrizioni in modo coordinato, ove possibile, in conformità della raccomandazione (UE) 2020/1475.
Il Considerando 13 garantisce il potere degli Stati membri di adottare le misure che ritengono più utili per il contrasto alla pandemia, materia sulla quale l’Europa non è competente. Badate bene: dire che l’Europa “non è competente” non equivale a dire che secondo l’Europa tale utilizzo sia “illegittimo”.
Ecco la frase che l’Onorevole Berlato avrebbe interpretato per sostenere che la Commissione europea gli abbia dato ragione:
L’uso nazionale dei certificati COVID-19 per scopi diversi dall’agevolazione della libera circolazione all’interno dell’UE non rientra nell’ambito di applicazione di tale regolamento.
Ecco, invece, la seconda parte della risposta che smentisce l’interpretazione dell’Onorevole Berlato:
Gli Stati membri possono effettivamente utilizzare il certificato COVID digitale dell’UE a fini nazionali, ma sono tenuti a prevedere una base giuridica nel diritto nazionale che rispetti, tra l’altro, i requisiti in materia di protezione dei dati.
In base alla Domestic Jurisdiction, l’Italia (così come ogni altro Stato membro) può usare il Green Pass per gestire le restrizioni anti-covid interne alla nazione, a patto che rispetti 2 requisiti: che ci sia una legge interna che ne disciplina le modalità (e noi ce l’abbiamo, è il D.L. 127/2021, in fase di conversione al Senato) e che non sia violata la normativa sulla privacy. Se tali requisiti vengono rispettati, lo Stato può utilizzare il certificato per uso interno come meglio ritiene.
Il contesto giuridico
Chiariamo il contesto giuridico di riferimento, per cominciare. Il Green Pass è frutto di una decisione europea, tradotta nel Regolamento 953/2021, il cui scopo è quello di garantire la progressiva eliminazione delle misure restrittive dovute alla pandemia Covid-19 e facilitare così lo spostamento dei cittadini tra gli Stati Europei, nel rispetto di Schengen e del Mercato Unico. Dice infatti il Considerando 13 che «il presente Regolamento dovrebbe contribuire ad agevolare la graduale revoca di tali restrizioni in modo coordinato».
L’idea di elaborare un Green Pass, infatti, deriva dal fatto che, con l’inizio della campagna vaccinale in tutta Europa, le varie misure restrittive prese dai singoli Stati (coprifuoco, quarantena, limitazioni agli esercizi commerciali, ecc…) potessero essere finalmente eliminate in maniera progressiva grazie all’aumento della copertura immunitaria nelle popolazioni. Così, si è deciso di fornire ai cittadini un “lasciapassare” che permetta di evitare determinate restrizioni nello spostamento tra gli Stati membri garantite a chi, nell’ordine:
- è guarito dalla Covid;
- è vaccinato contro la Covid;
- può dimostrare la sua negatività attraverso un test diagnostico (tampone, rapido o molecolare).
La competenza dei singoli Stati
Il Considerando 13 stabilisce che l’Unione Europea «lascia impregiudicata la competenza degli Stati membri nell’imporre restrizioni alla libera circolazione, in conformità del diritto dell’Unione, per limitare la diffusione del SARS-CoV-2». Detto brevemente: il Green Pass deve dare gli stessi diritti a chi è vaccinato, a chi è guarito e a chi ha un tampone negativo. In ogni caso, lo Stato membro resta libero di adottare, all’interno dei propri confini, qualunque misura che ritenga idonea a contrastare la pandemia, in conformità ai principi dell’Unione Europea.
Sulla base di questa “clausola di salvaguardia”, ogni Stato ha così potuto scegliere di utilizzare la certificazione Verde europea anche per regolare meglio le restrizioni interne, sfruttandola per garantire, appunto, una progressiva fuoriuscita dalle limitazioni e restrizioni anti-Covid.
Ci sono dunque Paesi che hanno scelto di non usarlo, altri che hanno scelto di farlo in modo blando, altri che hanno scelto di farlo in modo più stringente, altri ancora che non volevano usarlo ma in questi mesi stanno cambiando idea. La non uniformità del suo utilizzo è quindi perfettamente normale, perché per il principio della Domestic Jurisdiction, tutelato proprio dal Considerando 13, ogni Stato può agire come meglio ritiene all’interno dei propri confini.
Non è un certificato di vaccinazione
Il Regolamento ha precisato due cose molto importanti. Nel famoso Considerando 36 si stabilisce che il Green Pass deve avere il medesimo valore a prescindere dalle modalità con cui si è ottenuto: cioè, che tu abbia il Green Pass perché guarito, vaccinato o tamponato, devi poter godere degli stessi diritti.
Il considerando specifica infatti che «È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate» e che quindi «il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l’uso di uno specifico vaccino anti COVID-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto».
Leggendo bene, si parla di “certificato di vaccinazione”, non di Green Pass, cioè si fa riferimento al fatto di avere il pass perché vaccinati anziché per gli altri due motivi previsti. Questo significa solo che chi ha il Green Pass perché vaccinato non deve avere più diritti di chi ce l’ha perché guarito o perché negativo a un tampone, e non che non si possa discriminare chi non ha il Green Pass rispetto a chi ce l’ha.
La sentenza CGE del 29 ottobre 2021
Trattiamo la recente sentenza pronunciata lo scorso 29 ottobre su un ricorso promosso dall’avv. Sandri. Risulta interessante perché, oltre a confermare ancora una volta la ricostruzione svolta in questo articolo, dimostra ancora una volta che i sostenitori dell’illegittimità del Green Pass fanno confusione sulla questione.
Cosa è successo? L’avv. Sandri si è rivolto alla Corte di Giustizia Europea per vedersi annullato il Regolamento Europeo n. 953/2021 che disciplina il Green Pass. Le doglianze del suo ricorso vertono sul fatto che la certificazione verde costituirebbe una grave violazione della libertà personale e del diritto al lavoro, pure tutelati dalla carta dei Diritti europea agli artt. 6 e 15, e che cagionerebbe un irreparabile danno ai cittadini di carattere economico, per il fatto di essere costretti ad acquistare un tampone per poter esercitare il proprio diritto di circolazione.
La risposta del Tribunale chiarisce espressamente ogni confusione. Si legge infatti nella decisione che le eventuali violazioni alla libertà personale e al diritto al lavoro non hanno niente a che fare con il Regolamento Europeo: il possesso del Green Pass europeo, infatti, «non costituisce una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione, come risulta dall’articolo 3, paragrafo 6, di tale regolamento». Del resto, dice sempre il Tribunale, «i ricorrenti non producono nessun elemento che consenta di concludere che il regolamento impugnato abbia causato un peggioramento delle loro condizioni di spostamento rispetto alla situazione esistente prima della sua entrata in vigore. In effetti, il regolamento impugnato mira proprio a facilitare l’esercizio del diritto alla libera circolazione all’interno dell’Unione durante la pandemia di COVID-19 mediante la creazione di un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati COVID digitali dell’UE».
Insomma: il problema è che l’avv. Sandri si è rivolto alla CGE per fare annullare il Regolamento europeo per violazione (presunta) della libertà personale e del diritto al lavoro, quando al più tali violazioni sarebbero state perpetrate dalla normativa italiana, non da quella europea: è il Decreto Legge italiano infatti ad imporre il Green Pass per andare a lavoro, mentre l’avv. Sandri nel ricorso richiede che ad essere annullato sia il Regolamento Europeo anziché il D.L. 127/2021 (cosa, quest’ultima, sulla quale la CGE non sarebbe neppure competente).
Inoltre, il Tribunale precisa che in ogni caso, per poter annullare in via cautelare un Regolamento, è necessario dimostrare l’esistenza di un danno grave e irreparabile dovuto al suo mancato annullamento, mentre il danno lamentato dall’avv. Sandri è di carattere economico, e «non può essere considerato irreparabile o anche solo difficile da riparare dato che, come regola generale, esso può costituire oggetto di un successivo risarcimento finanziario (…) Vero è che, anche in caso di danno di carattere puramente pecuniario, un provvedimento provvisorio si giustifica ove risulti che, in mancanza di tale provvedimento, la parte richiedente si troverebbe in una situazione tale da mettere a repentaglio la propria sopravvivenza finanziaria, poiché non disporrebbe di una somma che dovrebbe normalmente permetterle di far fronte a tutte le spese indispensabili per sopperire ai propri bisogni elementari sino al momento in cui intervenga una pronuncia sul ricorso principale». Circostanza che però necessita di una prova specifica, ossia che il ricorrente versi in una situazione economica tale da rendergli impossibile pagare il tampone. E invece, «nel caso di specie i ricorrenti hanno omesso di fornire informazioni concrete e precise, suffragate da documenti certificati dettagliati».
Conclusioni
L’Unione europea non ha intimato al Governo italiano di «togliere il Green pass entro 30 giorni» secondo il regolamento europeo 953/2021.
Non corrisponde al vero che la Commissione Europea abbia dato ragione all’europarlamentare Berlato sulla presunta illegittimità del Green Pass italiano.
In merito alla sentenza del 29 ottobre 2021, l’avv. Sandri ha rivolto il ricorso al Tribunale sbagliato, impugnando la norma sbagliata e senza fornire alcuna prova che dimostrasse l’esistenza di un danno irreparabile, condizione essenziale per ottenere una pronuncia di annullamento.
Attualmente, al contrario, tutte le attuali pronunce italiane ed europee confermano la validità dell’utilizzo del Green Pass nelle forme scelte dallo Stato italiano, la sussistenza dei requisiti richiesti per poterlo utilizzare in tal senso e l’assoluta legittimità della normativa italiana sia rispetto alla normativa interna che a quella europea.
Tra le tante, si vedano ad esempio TAR Lazio di inizio settembre 2021, TAR Sardegna del 15 settembre 2021, TAR Friuli Venezia Giulia del 10 settembre 2021, Consiglio di Stato del 16 settembre 2021, ordinanza del TAR Lazio del 26 settembre 2021, TAR Lazio del 7 ottobre 2021, sentenza del 20 ottobre del Consiglio di Stato e sentenza 22 ottobre 2021 del TAR Bolzano, tutte intente a confermare che l’uso del Green Pass non lede alcun diritto fondamentale, non cagiona alcun danno irreparabile e che risulta perfettamente legittimo alla luce della normativa italiana in vigore.
Articolo in collaborazione con Andrea Lazzarone (PaoloTuttoTroppo).
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