Pensione a 62 anni con il contributivo o con 41 anni di lavoro: le due riforme sul tavolo di Draghi
La data da segnare sul calendario è martedì 16 novembre. Quel giorno è in programma un incontro tra Mario Draghi e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri. Si parlerà di pensioni e della riforma che il governo ha promesso. E le ipotesi sul tavolo si sono ridotte a due. La prima è quella caldeggiata dall’esecutivo. Prevede l’uscita dal lavoro a 62 anni con il sistema contributivo. Ovvero la cosiddetta Opzione Tutti. Che porta a tagli dal 21 al 27% dell’assegno di ritiro. La seconda è quella che vogliono i rappresentanti dei lavoratori. E prevede l’uscita dal lavoro per tutti a prescindere dall’età ma con almeno 41 anni di contributi. Che però costerebbe troppo alle casse dello Stato.
Opzione Tutti
Come sappiamo, la Legge di Bilancio approvata in Consiglio dei ministri prevede Quota 102. Ovvero la possibilità di lasciare il lavoro con 64 anni di età e 38 di contributi. L’opzione sarebbe valida soltanto nel 2022. In attesa della riforma delle pensioni che dovrebbe arrivare il prossimo anno. La conferma di Opzione Donna fissa invece l’anticipo per le lavoratrici dipendenti a 58 anni e per le autonome a 59. La prima versione della manovra fissava l’età in 60 anni per tutte. Ma ora bisogna stringere sulla nuova proposta promessa. Palazzo Chigi vuole l’uscita dal lavoro a 62 anni con il contributivo per tutti. Abbandonando il sistema misto e quello delle quote. In attesa della legge Fornero. Una soluzione che il ministro del Lavoro Andrea Orlando ritiene possa andare incontro alle istanze del sindacato.
Cgil, Cisl e Uil invece propongono altro. Dicono no al sistema contributivo per tutti a prescindere dall’età e chiedono invece l’uscita a 62 anni per tutti oppure con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Ma così anche lavoratori under 60 potrebbero lasciare il lavoro. E questo il governo non lo vuole concedere. Così come sarà difficile per le rappresentanze dei lavoratori ottenere la pensione di garanzia per i giovani con carriere discontinue. Il segretario confederale della Uil Domenico Proietti ha chiesto anche una norma che consenta di considerare il lavoro di cura delle donne contando un anno di contributi per ogni figlio. E di rilanciare la previdenza complementare con un nuovo semestre di silenzio-assenso: «Questo confronto – ha detto – deve avere come traguardo il Def a fine marzo 22».
Assegno pensione: quanto si perde con l’anticipo contributivo
Il problema sul tavolo di governo e sindacati è quello dell’assegno. Una simulazione di Smileconomy ha contato tre casi di lavoratori classe 1959 che possono anticipare di quattro anni l’uscita. Un lavoratore con età di 62 anni e 37 di contributi che non può uscire con Quota 100 o 102 può usare Opzione Tutti ma avrebbe il 21% di taglio del sussidio. Ovvero ogni mese metterebbe in tasca 934 euro invece di 1.181. Un lavoratore con 35 anni di contributi si troverebbe con un taglio del 20% e mentre chi esce a 63 anni con 20 di contributi deve rinunciare al 27% dell’assegno pieno: 579 euro invece che quasi 800.
Intanto il governo ha confermato anche il contratto di espansione. Che prevede la possibilità di utilizzo anche per le imprese più piccole. Il limite dimensionale è stato rivisto e adesso vale per le imprese con 50 dipendenti per il 2022 e il 2023. Il contratto di espansione può anticipare il prepensionamento fino a 60 mesi. I dipendenti interessati accedono, su base volontaria, a una risoluzione consensuale per potere raggiungere entro 5 anni o la pensione di vecchiaia o la pensione anticipata se decorre prima dell’età pensionabile. L’imprenditore paga l’assegno mensile, ovvero la pensione maturata e certificata da Inps. Così come il costo della contribuzione piena calcolata sulla media degli ultimi quattro anni.
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