I presunti morti da vaccino per la proteina Spike? Perché lo studio tedesco non ha basi scientifiche
Circolano alcuni video su Facebook in riferimento al convegno «Vax – Quo Vadis?», tenutosi a Bolzano lo scorso 10 novembre su iniziativa del movimento politico Einzian. Un filmato in particolare riporta l’intero evento, nell’altro si vede un breve intervento del dottor Sergio Salvelli durante una manifestazione contro il Green pass. In quell’occasione veniva citato il convegno a proposito di una presunta tossicità dei vaccini contro il Coronavirus mediante la proteina Spike. Come vedremo, questa teoria si basa su un insieme di presunti eventi avversi fatali nei vaccinati, già trattati da Open in precedenti articoli.
Per chi ha fretta:
- La ricerca dei patologi tedeschi sui presunti danni fatali delle vaccinazioni presenta pesanti limiti di metodo.
- Le associazioni professionali tedesche di patologia hanno preso le distanze dalle affermazioni della ricerca, ritenendola scientificamente infondata.
- Ogni riferimento a una presunta tossicità dei vaccini anti-Covid si basa sulla distorsione di fonti reali e decontestualizzate.
- L’EMA ha approvato i vaccini anti-Covid a seguito di un’ampia sperimentazione umana e monitora gli eventi avversi, che sono globalmente insignificanti rispetto ai notevoli benefici.
Analisi
Nell’ottobre scorso circolava l’annuncio di una conferenza stampa presso il Consiglio provinciale di Bolzano dove verrebbero illustrate le scoperte di un presunto studio, condotto dall’ingegnere elettronico Werner Bergholz e dal patologo in pensione Arne Burkhardt, su dieci autopsie dove sarebbero state dimostrate le responsabilità dei decessi ai vaccini anti Covid (ne abbiamo parlato qui) . L’evento si apre con un intervento di Paolo Bellavite, volto noto negli ambienti degli estimatori dell’omeopatia.
Presunti eventi avversi post vaccino
Bellavite introduce l’intervento di Burkhardt sulle presunte lesioni in soggetti sottoposti alle vaccinazioni, sostenendo che il sistema di rilevazione degli eventi avversi dopo l’inoculazione sia basato su segnalazioni spontanee di medici e pazienti. Secondo quanto afferma, potrebbero essercene di più ma non figurerebbero perché verrebbero riportate solo quelle ritenute correlate al farmaco. Eppure, nel suo stesso intervento Bellavite mostra una slide emblematica:
Su 608 segnalazioni esaminate dall’OMS con un modello statistico, con esito fatale su 100mila dosi somministrate (lo 0,72%) il 59% non è nemmeno correlabile, il 30,6% è indeterminato e il 6,2% inclassificabile per «mancanza di informazioni sufficienti». Restano 16 casi correlabili (3,7%), che potrebbero sottendere un nesso causale, ma per stabilirlo occorrerebbe stimare l’incidenza di tali eventi avversi a prescindere dai vaccini.
I potenziali eventi avversi vengono monitorati
Se abbiamo questo genere di risultati con segnalazioni raccolte da professionisti a contatto coi pazienti, perché segnalando qualsiasi cosa dovrebbero risultare statistiche con cifre più alte? Bellavite non lo spiega. Ed effettivamente è piuttosto improbabile.
Del resto le segnalazioni spontanee, come quelle raccolte da database quali il Vaers (Usa), l’MHRA (UK) e l’EudraVigilance (Ue) devono essere poi studiate per capire quali hanno un effettivo nesso causale. Gli enti che vigilano sui farmaci, come l’europea Ema, non stanno con le mani in mano. Eventi avversi come le trombosi e le miocarditi hanno portato a indagini approfondite, tenuto conto della normale incidenza e dei loro fattori di rischio comuni. In entrambi i casi si è visto che i benefici superano di gran lunga i rischi.
Vaccini sperimentali?
Eppure secondo Bellavite i vaccini come quelli a mRNA non sarebbero sufficientemente sperimentati. Cita quindi una ricerca di Pfizer per conto del Governo giapponese (traduzione in Inglese qui), dove si vede che nei topi una proteina usata come modello della Spike si diffonde ovunque nell’organismo, portando a problemi come ipertensione, infiammazione e coagulazione. Avevamo già analizzato il documento (qui e qui), tuttora usato in ambito No vax per sostenere che le case farmaceutiche non saprebbero cosa ci stanno iniettando. Bellavite si lancia quindi in una iperbole, affermando che ci inoculano «vaccini sperimentati su tre ratti e due topi».
Come avevamo visto, il documento di Pfizer – affatto segreto – non mostra alcun indizio rilevante di tossicità per le persone. Del resto l’Ema ha approvato i vaccini a seguito di tre fasi di studi clinici riguardanti decine di migliaia di persone. Come ci spiegava Aureliano Stingi (PhD in Cancer Biology e fact-checker) in una precedente intervista, l’approvazione emergenziale di un farmaco non è una passeggiata:
«Non so se avete visto le interrogazioni che ha fatto il CDC Board, ovvero il Vaccines and Related Biological Products Advisory Committee (VRBPAC) a Pfizer prima di approvargli il vaccino – spiega Stingi –, parliamo di una cosa che dura magari sei ore in cui gli chiedono di tutto. Non è una passeggiata passare l’approvazione dei CDC per un vaccino. Dalle affermazioni di Doshi sembra che il processo sia stato immediato. Non è così».
«L’approvazione emergenziale è più che altro per poter commercializzare un farmaco quando hai intanto degli endpoint preliminari vuol dire che al posto di avere tutti gli endpoint (come, “il vaccino previene la trasmissione”), ci siamo fermati a “il vaccino previene la morte”».
«Sono stati veloci i trial perché c’era una pandemia in atto ed era facile, sia reclutare persone, sia che queste si infettassero. È partito anche il trial per l’HIV ma durerà anni, perché fortunatamente in quel caso la gente non si infetta così facilmente. È il contesto della Covid-19 a rendere tutto più veloce. Non vorrei passasse il messaggio che siccome eravamo in emergenza abbiamo fatto le cose male. Non è così. I passaggi di sicurezza ci sono stati tutti. Non è che accettiamo qualsiasi cosa “solo” perché siamo in emergenza, ma è quest’ultima a velocizzare il processo».
La narrazione della Spike tossica
Tutto questo dovrebbe basarsi su alcune congetture riguardanti la tossicità della proteina Spike. Queste narrazioni riportate nel video risultano prive di fondamento scientifico, come avevamo appurato in precedenti articoli, avvalendoci della consulenza di esperti: il microbiologo Luca Fanasca, il genetista Marco Gerdol e il biologo molecolare Francesco Cacciante. La proteina Spike (S) è l’antigene usato da SARS-CoV-2 per infettare le cellule, legandosi ai recettori ACE2. I vaccini anti-Covid danno alle cellule le sole informazioni per produrre la Spike, in modo da rendere il Sistema immunitario capace di prevenire l’infezione.
Gravi infiammazioni da vaccino?
Spesso si confonde l’apoptosi (morte programmata delle cellule, che avviene regolarmente nel nostro Organismo) con la necrosi (morte di interi tessuti), collegata alla presenza della Spike. Questo ha portato a sostenere che i vaccini a mRNA provochino gravi infiammazioni (lo spieghiamo qui).
«È vero che la proteina S. prodotta viene espulsa nello spazio extracellulare, e lì verrà fagocitata e processata dalle cellule presentanti l’antigene (APC, in primis cellule dendritiche) – spiega il microbiologo Fanasca – che ne esporranno frammenti rilevanti tramite l’MHC di tipo 2 per la successiva attivazione dell’immunità specifica, ma è anche vero che la stessa cellula che ha prodotto la proteina, tramite l’MHC di tipo 1, presenterà parti della proteina S sulla sua membrana».
«Alcune cellule effettrici della risposta immunitaria specifica (in particolare i linfociti T citotossici), pattugliando la zona, riconosceranno quelle porzioni di proteina come non self. In seguito a ciò, verrà effettivamente indotta l’apoptosi della cellula».
«È questo il ruolo principale dei linfociti citotossici: innescare l’apoptosi in cellule che presentano qualcosa che non va. Dato che parliamo di un vaccino a somministrazione intramuscolare, seguirà ovviamente un ricambio delle cellule mandate in apoptosi a partire da quelle che sono chiamate cellule satelliti, un dipartimento staminale del muscolo che normalmente si occupa di rigenerarlo in seguito a eventi del genere».
Come funziona l’mRNA
Altre tesi accolte in ambito No vax teorizzano che la tossicità della Spike sia insita nel modo in cui i vaccini a mRNA la codificano (lo spieghiamo qui).
«L’mRNA sintetico, sia di Pfizer che di Moderna, codifica l’intera proteina Spike (S). Ha delle regioni, all’inizio e alla fine, che in qualche modo sono state ingegnerizzate per avere una espressione molto efficiente dell’antigene – spiega il genetista Gerdol -, parliamo di una molecola di mRNA di circa quattromila nucleotidi. Non c’è nessun motivo per ritenere che [alcuni di questi, Ndr] siano particolarmente importanti rispetto agli altri. Potremmo considerare interessanti i primi 55, perché sono la parte non codificante che precede quella codificante la proteina vera e propria».
«Dobbiamo ricordare che ogni cellula del nostro corpo produce normalmente 300/400 mila molecole di mRNA […] In una sola infezione influenzale nelle vie respiratorie vengono prodotti diversi triliardi di copie di genoma virale. Non si capisce poi perché la tempesta citochinica dovrebbe essere collegata al numero di molecole di mRNA. Come se venissero prodotte da qualsiasi tipo di cellula, e si distribuissero in maniera uniforme nel nostro Organismo, permanendo per diverse settimane».
Uno studio privo di metodo scientifico
Veniamo ora all’intervento di Arne Burkhardt, il quale illustra lo «studio» che avevamo già analizzato in un articolo precedente. Gli autori tedeschi avrebbero trovato notevoli infiltrazioni linfocitarie nei corpi esaminati, in particolare nei polmoni, nel cuore, nelle ovaie, nei testicoli e nel cervello. Il Patologo mostra anche alcune immagini, che prive di contesto appaiono come prove schiaccianti.
In una conferenza stampa del 20 settembre 2021, tenutasi presso l’Istituto patologico di Reutlingen, Burkhardt e colleghi parlavano di «autopsie su 40 cadaveri […] circa un terzo di quei decessi è stato causato dalla vaccinazione». Manca però uno studio peer-review. La stessa Società tedesca di Patologia (DGP) aveva preso le distanze dal lavoro dei patologi in un comunicato ufficiale. Secondo quanto riporta il sito tedesco Der Volksverpetzer, che ha cercato di contattare gli autori, non è chiaro nemmeno se questi abbiano eseguito personalmente le autopsie a cui fanno riferimento.
I colleghi di Correctiv (che trattarono l’argomento in un articolo del 25 settembre) contattarono invece il Registro tedesco delle autopsie Covid-19 (DeRegCOVID) chiedendo un parere riguardo al lavoro dei ricercatori. Secondo gli esperti, non c’è nulla che dimostri un collegamento tra vaccini e morte dei pazienti. Eppure Burkhardt mostra una tabella riguardante nove decessi correlati a Moderna, Comirnaty, Janssen e Pfizer:
Parliamo di autopsie su persone tra i 54 e i 95 anni. La morte sarebbe avvenuta tra 31 giorni e sei mesi dalla vaccinazione. Si parla di campioni provenienti da Germania e Austria, sulle cui origini non si sa di più. Infatti, mancano proprio le informazioni cliniche riguardo alle persone decedute.
I colleghi di Die Welt citano in un articolo del 21 settembre le dichiarazioni del direttore dell’Istituto di medicina legale del Centro medico universitario di Hamburg-Eppendorf, Benjamin Ondruschka, il quale conferma che non è chiaro quali siano le origini dei campioni, cosa che sta ben al di là del metodo scientifico.
Conclusioni
La narrazione proposta durante il convegno tenutosi a Bolzano lo scorso 10 novembre parte da premesse teoriche errate, presentate come appurate. Prosegue quindi presentando i risultati di una ricerca che presenta notevoli limiti di metodo, restituendo l’immagine di una campagna vaccinale fatta ignorando pericolosi eventi avversi mortali, di cui non si ha alcuna evidenza.
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