Michele Merlo poteva essere salvato? «Bastavano gli esami del sangue»
Ematomi sulle gambe un mese prima della morte. «Doveva essere curato prima». Nuovi dubbi emergono sul decesso di Michele Merlo a 28 anni per un’emorragia cerebrale provocata da una leucemia fulminante. Poteva essere salvato? Il giovane cantautore di Amici e di X Factor è deceduto il 6 giugno scorso all’Ospedale Maggiore di Bologna. «Sulla sua tomba i fan lasciano bigliettini, perfino regali. Tutto questo ci aiuta a sopportare il dolore, per carità. Ma non basta: ci serve la verità», racconta sul Corriere della Sera Domenico, il papà di Michele. La Procura di Bologna indaga per omicidio colposo: ha disposto l’esame autoptico sul corpo e dato l’incarico a due periti, il professor Antonio Cuneo e il dottor Matteo Tudini, di accertare eventuali responsabilità.
Le diagnosi e i segni della leucemia
Il cantante, che usava il nome d’arte di Mike Bird ad Amici, secondo la famiglia stava male da giorni. Prima di morire, il 2 giugno, si era recato all’ospedale di Vergato, nel Bolognese. Non era stato ricoverato ma mandato a casa dopo essersi visto prescrivere un antibiotico con la diagnosi di faringite. Poi le convulsioni, la sera dopo a casa della fidanzata, quindi l’ambulanza e il ricovero. Poi la morte. L’inchiesta al momento non ha indagati e sta per essere trasferita dalla Procura di Bologna a Vicenza. I periti hanno infatti concluso che quando il 28enne si era recato a Vergato era già tardi. Lo sarebbe stato comunque, anche se al pronto soccorso avessero riconosciuto i segnali della leucemia. I medici bolognesi quindi non sarebbero responsabili.
Per capire meglio cosa è successo, allora, forse bisogna fare un ulteriore passo indietro: «Il 26 maggio Michele stava già male e si presentò al Pronto soccorso di Cittadella con dolori e uno strano ematoma alla gamba. Ma tre ore dopo il triage, era ancora in attesa. Così, scocciato, andò via», racconta oggi il padre al Corriere. Tornato a casa il cantante invia una email allo studio del medico di famiglia di Rosà, nel vicentino, ovvero dove il ragazzo viveva, con la foto dell’ematoma allegata. «Ma dallo studio associato lo richiamarono rimproverandolo per aver spedito l’immagine. Allora mio figlio si presentò di persona e fu ricevuto da qualcuno, quasi certamente non il suo medico, che si limitò a massaggiargli la gamba con una pomata», dice il papà.
L’emopatia acuta
Le attenzioni degli inquirenti si spostano dunque su Rosà e Cittadella. Se entro il 27 giugno il cantautore avesse fatto dei semplici esami del sangue, l’emopatia acuta in corso sarebbe emersa, il giovane sarebbe stato ricoverato e avrebbe cominciato una idonea terapia. Così concludono le perizie. Che aggiungono: in questo caso le chance di sopravvivenza di Merlo sarebbero state elevatissime, tra il 79 e l’87%. «La speranza è che ora si arrivi rapidamente a individuare i responsabili», dice il legale della famiglia, Marco Dal Ben. «Sono deluso, comincio a perdere fiducia nella giustizia. Spero che i pm di Bologna indaghino comunque sul comportamento di due medici: quello di Vergato che non volle visitarlo e quello del 118 intervenuto a casa della fidanzata di Michele. Ero al telefono con lei, lo sentivo chiederle quanta droga avessero assunto. Pareva fuori controllo. E perse minuti preziosi», dice il papà del ragazzo.
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