Giulia diventa Geremia ma la preside non ci sta. E gli studenti occupano la scuola per protesta
Non si sentiva bene nel corpo di Giulia – nome di fantasia – così una ragazza di Pisa che frequenta il liceo scientifico Ulisse Dini ha stabilito che d’ora in poi la sua vita l’affronterà col nome di Geremia e che tutti dovranno chiamarla così. I genitori l’hanno subito appoggiata e lei ha chiesto alla scuola la possibilità di attivare una carriera alias, cioè la possibilità di essere iscritti all’istituto con un nome diverso da quello anagrafico. E ha domandato di poter estendere il diritto a tutti quei ragazzi che abbiano iniziato un programma di transizione di genere. Quanto accaduto ha smosso le coscienze dell’intero studentato che si è subito mobilitato occupando le aule del liceo e ha chiesto di parlare con la preside, Adriana Piccigallo, la quale ha accolto la cosa con reticenza.
La carriera alias
«Ci ha detto che la scuola non era pronta per iniziare questo percorso», ha detto Samuele Badalassi, uno dei rappresentanti di istituto, a La Stampa, parlando della direttrice scolastica. «La nostra – spiega con la voce arrochita da giorni di dibattiti e assemblee, ma anche da qualche notte insonne – è una scuola molto grande e non ci conosciamo tutti. Ma quando Geremia, che frequenta la quarta, ci ha raccontato la sua storia abbiamo deciso che dovevamo fare subito qualcosa». I ragazzi hanno chiesto un incontro con la preside. E ha poi aggiunto: «Vogliamo che la nostra scuola faccia di tutto per aiutarlo nel suo percorso che certo non sarà stato facile. La maggior parte dei professori appoggia la sua scelta, solo qualcuno di loro ha una mentalità più antiquata. Ma le idee che ledono la libertà degli altri non vanno bene, giusto?».
Il commento della preside
Dopo un’iniziale ritrosia, sembra che la preside stia cambiando piano piano idea. «Dopo aver coinvolto il suo consiglio di classe – sostiene – i cui insegnanti usano il nome da lui scelto, abbiamo in programma di studiare la carriera alias attraverso il nostro referente del progetto sugli stereotipi di genere, per poi presentarla al collegio docenti. C’era già un accordo con i rappresentanti di istituto che mi avevano chiesto di attivare questo percorso». E il rifiuto iniziale? «La mia perplessità – continua – era solo nei tempi e nei modi, proprio perché sapevo che questo tipo di percorso era una novità assoluta. Io stessa non ne ero a conoscenza. La delicatezza dell’argomento mi aveva fatto propendere per la riservatezza, mentre invece per quel ragazzo era importante diffondere la sua situazione».
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