Ilaria Capua: «Obbligo vaccinale? Decisione pericolosa. Ora mettere in sicurezza i bambini» – L’intervista
«Stiamo vivendo il più lungo periodo della storia senza guerre mondiali, l’aspettativa di vita aumenta con costanza, la medicina fa passi da gigante, l’intelligenza artificiale ci permette di fare cose che fino a un decennio fa sarebbero state impensabili: ricordarci che siamo uomini e non déi non era cosa semplice. Eppure è arrivata una pallina di gelatina dalle dimensioni infinitesimali a ricordarci che apparteniamo al regno animale, che siamo uomini, e che rappresentiamo solo la fabbrica di energia che permette ai virus di replicarsi. La pallina ci ha urlato in faccia che siamo vulnerabili e che possiamo perdere il controllo conquistato». Il racconto che la virologa Ilaria Capua fa degli ultimi due anni di pandemia da Covid-19 riassume quello che ancora oggi ci stupisce: non essere invincibili contro un nemico piccolissimo, avere un sapere medico e scientifico che non è fucìna di certezze ma di evidenze da conquistare passo dopo passo.
Virologa, scienziata e direttrice dell’UF One Health Center dell’università della Florida, quindici anni fa ha aiutato il mondo a combattere l’aviaria con la proposta rivoluzionaria di rendere di dominio pubblico la sequenza genica del virus e di aprire così la strada al concetto di dati scientifici consultabili e accessibili a tutti. Oggi continua i suoi studi su Covid-19 regalando nei suoi ultimi lavori il lucido racconto di quello che ci sta succedendo. Lo fa in La meraviglia e la trasformazione edito per Mondadori, «un modo per ribadire come da questa pandemia si possa davvero uscire trasformati».
Ci eravamo dimenticati di non essere invincibili. È da qui che arriva la pretesa di una medicina come scienza delle certezze e anche piuttosto immediate?
«Siamo figli di un periodo in cui noi occidentali abbiamo visto le guerre fuori dai nostri confini. Con grande abilità siamo riusciti a tenere a bada le malattie attraverso vaccini e antibiotici. Pensavamo di essere arrivati a un livello di galleggiamento in acque tranquille. Ma il punto di forza delle emergenze è il coglierti di sorpresa e questo ha molto a che fare con la capacità di accettare di non avere una soluzione pronta. In questo caso una medicina pronta. Quello che molti non riescono a concepire ancora adesso è che la scienza non sia in grado di fornire una risposta efficace al 100% e immediata. Alla rapidità tipica di un contagio da malattia infettiva avremmo potuto rispondere in due modi: bloccarlo fin da subito o rincorrerlo a vita».
È accaduta la seconda. Ma avremmo davvero avuto gli strumenti per bloccare tutto questo fin da subito?
«Purtroppo sì. E questa è una delle cose più amare. Il veleno negazionista si è insidiato già dai primissimi giorni d’emergenza e ha portato come prima grande conseguenza la sottovalutazione del problema dai parti dei grandi della terra, con i più importanti organismi sanitari internazionali esclusi da decisioni fondamentali. All’inizio del 2020 l’umanità aveva già avuto esperienza di pandemie. Se l’allarme iniziale dell’Oms fosse stato immediatamente seguito da un dispiegamento di forze e sanitari, come successe per Ebola e SARS, avremmo pagato un prezzo molto meno salato in termini di morti. Il terreno perso nella fase iniziale è enorme. Farsi delle domande sul perché sia accaduto questo è doveroso».
Da lì sono passati quasi due anni. Siamo davvero lontani da quel Donald Trump che consigliava il disinfettante per curarsi i polmoni?
«Purtroppo no. Sono stati fatti dei danni prima di tutto culturali permanenti. Qui negli Stati Uniti ci sono moltissime persone che ancora credono che la pandemia sia una completa invenzione. E credo che dietro il fenomeno No vax anche in Italia ci siano prima di tutto persone che non credono al virus e ai danni enormi che può provocare. Dunque il seme negazionista è ben più radicato e come ogni seme velenoso, quando si impianta non porta buoni frutti per svariato tempo».
Che fare allora? Seguire le orme dell’Austria e decidere per l’obbligo di vaccinazione per tutti?
«Quella dell’Austria è una decisione dettata dalla disperazione e lo comprendo. Sappiamo bene cosa succede quando c’è una crescita esponenziale dei contagi in persone non vaccinate e il terrore di contare altri morti ha fatto prendere al cancelliere la decisione definitiva. Senza contare le implicazioni dal punto di vista economico, settore che va difeso senza dubbio. Insomma la stagione sciistica è a rischio».
E per l’Italia?
«Mi costa dirlo ma sarebbe stato meglio prendere una decisione del genere tre mesi fa. Arrivati a questo punto credo che un obbligo vaccinale sia più controproducente che altro. Abbiamo lasciato acuirsi troppo l’antagonismo tra vaccinati e non vaccinati, la polarizzazione è agli estremi e una decisione di questo tipo adesso sconfinerebbe da comportamenti razionali. Un obbligo vaccinale porterebbe a un livello di inasprimento senza precedenti, una bomba per una situazione già ampiamente esplosiva».
Dall’altra parte, il rischio è lasciare al virus la possibilità di circolare ancora
«Purtroppo sì ma per neutralizzare questo antagonismo occorre lasciare ammorbidire da sole determinate posizioni. Serve accontentare e lasciare che “il signor x” non vaccinato finisca in ospedale e convinca finalmente tutta la sua famiglia che questo virus c’è e può ammazzare. Di questo passo il 90% delle prossime persone che ucciderà saranno non vaccinate. Questo farà capire l’importanza di avere un vaccino con un’efficacia all’80% e al 90%, quando quello per l’influenza può arrivare al 50% massimo 60%».
Nel secondo lavoro in uscita Girotondo è uno il mondo parla di salute circolare ai più piccoli. Anche su di loro il dibattito è aperto e spesso alimentato dagli stessi organismi sanitari. L’Oms ci dice di aspettare a vaccinarli, molti Paesi li stanno invece vaccinando. Un tira e molla che non può non confondere.
«Lo capisco, ma bisogna imparare a contestualizzare le singole fonti. L’Oms è un’organizzazione che si rivolge a 194 Paesi del mondo. È giusto e legittimo che freni sulle vaccinazioni dei bambini con la motivazione di garantire le prime dosi alle Nazioni del mondo che non hanno ancora ricevuto nemmeno la prima iniezione di vaccino. Questo non va in contraddizione con lo scopo degli enti sanitari delle singole nazioni che invece agiscono su un quadro epidemiologico più ridotto e mirato a migliorare le condizioni della popolazione locale».
Quindi è scientificamente giusto vaccinare i bambini in questa fase della pandemia o no?
«Assolutamente sì. Ci sono numeri preoccupanti di bambini che vengono penalizzati dall’infezione senza dimenticare i numerosi casi di Long Covid di cui ancora sappiamo poco. Non abbiamo avuto abbastanza tempo per capire gli strascichi lasciati dall’infezione ma stiamo già vedendo degli indizi non rassicuranti e nei prossimi cinque anni si capirà ancora meglio. Non è normale avere dopo sei mesi dall’infezione contratta fortissimi mal di testa, disturbi della concentrazione e altre lesioni che gli studi scientifici sui postumi del Covid continuano a descriverci in forti percentuali. Mettere in sicurezza i bambini è una buona scelta».
Pochi giorni fa ha fatto la sua terza dose di vaccino. Anche su questo il caos di opinioni non è mancato. È necessario oppure no sapere quanti anticorpi siano rimasti nell’organismo per decidere sul richiamo?
«Spieghiamolo in modo semplice. Gli anticorpi che servono veramente contro il Covid sono i cosiddetti “neutralizzanti”, una percentuale variabile sul totale di anticorpi presenti nel nostro organismo e che risultano capaci di opporsi su determinati siti della proteina Spike del Covid-19. Immaginiamo che questo antigene, la molecola in grado di essere riconosciuta dal sistema immunitario come estranea, sia a forma di margherita e che tutti gli anticorpi che abbiamo contro i petali non servano a molto perché i petali non hanno la capacità di riprodurre il virus. Gli anticorpi davvero utili per impedire la replicazione del virus sono quelli che combattono la parte gialla del fiore, la più minacciosa.
Ecco, per individuare questi tipo di anticorpi con un test di laboratorio occorrono procedimenti molto complessi e che non possono essere riprodotti in grandi numeri. I test di massa attualmente a disposizione rilevano il totale degli anticorpi presenti nell’organismo e quindi anche quelli che non sono realmente utili: un soggetto può avere anche mille unità ma se sono tutte contro i “petali”, per continuare con la semplificazione, ci diranno poco sulla nostra capacità di difenderci dal virus.
Poiché gli attuali test che si fanno in laboratorio non raggiungono il grado di complessità che richiede l’indagine degli anticorpi neutralizzanti, è necessario che in un momento di emergenza come questo non si perda tempo con pratiche che non ci danno le informazioni che ci servono. Appare molto più sensato seguire le evidenze evidenze scientifiche sulla necessità di rafforzare dopo un tot di mesi la nostra protezione».
E questo non ci sottopone a rischi di nessun tipo?
«Se siamo persone sane assolutamente no. Tranne nei casi di fragilità e patologie preesistenti tipo immunità autoimmuni che posizionano l’individuo in una categoria diversa di rischio, non c’è nessuna contro indicazione».
Da tempo è uno dei bersagli preferiti di haters sui social, attacchi No Vax che ancora la definiscono una “trafficane di virus”. Riesce a rimanere lucida nonostante tutto?
«È molto difficile a volte e non le nego che mi sono anche chiesta chi me lo ha fatto fare. La risposta che mi do ogni volta è che siamo tutti coinvolti in quello che ci sta succedendo e la responsabilità da prendersi ogni giorno è quella di maneggiare con cura e attenzione dei temi fondamentali. Ho studiato molto questi argomenti per ora credo che non sia ancora il
momento ed è giusto che non che mi tiri indietro. Poi certo fa male vedere come fare il virologo spesso oggi significa venire trattati quasi come dei personaggi vanitosi in cerca di visibilità, ho imparato a ignorare alcune fonti».
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