Il direttore della Rianimazione di Bergamo: «Da noi i posti sono di nuovo tutti occupati»
Quando a marzo 2020 la pandemia di Coronavirus dilagava nel Nord Italia, mettendo in ginocchio la Lombardia, all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo si lavorava dalle 12 alle 14 ore al giorno. I posti nel reparto di terapia intensiva erano in tutto 120, molti dei quali ricavati da reparti che nulla avevano a che vedere con la rianimazione. A raccontarlo è Fabrizio Fabretti, direttore dell’Unità di Anestesia e Rianimazione che ancora oggi si occupa dei pazienti Covid. «È stato un dramma», ha detto a ilfattoquotidiano.it, «non dimenticheremo mai quei giorni. Il problema, però, è che le cose sono tornate a peggiorare». Infatti nelle ultime settimane c’è stato un sensibile incremento dei ricoveri nel reparto di Malattie infettive, così come in area critica. «Riusciamo a dimettere qualcuno, ma poi arriva un nuovo paziente. A oggi, i posti letto sono tutti occupati. E se il trend è questo, dovremo aumentarli. La Lombardia ha aumentato i posti letto, da oggi, a 75, e solo due sono liberi (domenica i ricoverati erano 61, ndr). Negli altri ospedali della Bergamasca si stanno attrezzando con ulteriori spazi per la degenza».
Neanche a dirlo, «circa nove pazienti su dieci non hanno ricevuto alcuna dose». Inoltre, «nel 90% dei casi, chi entra in terapia intensiva ed è vaccinato esce sulle proprie gambe. Senza vaccino, la percentuale scende di molto. L’età media varia dai 50 agli 80 anni, ma abbiamo avuto anche 35-40enni. Dietro alle persone che non si vaccinano ci sono le motivazioni più disparate. In genere c’è la paura. Gli irriducibili, quelli iper convinti, di solito sono pochi». A questo punto, e con la quarta ondata che incombe, «si tratta di scegliere – ha concluso Fabretti – tra un rischio minimo, vicino allo zero, e un rischio molto più consistente. Chi non vuole vaccinarsi, si faccia convincere da chi vede pazienti Covid in fin di vita, che non hanno altre comorbidità, ma solo danni ai polmoni, e fa il possibile per curarli. Non sto parlando solo dei rianimatori, ma anche degli infermieri, che fanno un grandissimo lavoro, di grande sacrificio, anche fisico, e che voglio ringraziare pubblicamente».
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