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Variante Omicron, cosa serve sapere oggi per evitare inutili allarmismi: quanto è plausibile temerla

27 Novembre 2021 - 13:44 Juanne Pili
variante omicron alto adige
variante omicron alto adige
La nuovo lignaggio B.1.1.529 è potenzialmente in grado di scalzare Delta. Troppo presto però per cadere nel panico

Così la nuova variante Covid B.1.1.529 emersa nell’Africa meridionale ha un nome: non «Ni» o «Nu», come era logico pensare, ma «Omicron»; lo ha deciso l’OMS per evitare che l’assonanza con la precedente variante Mu (o Mi) creasse confusione. Così il nome slitta dalla tredicesima lettera dell’alfabeto greco alla quindicesima. Quel che preoccupa maggiormente non è come vogliamo chiamarla, ma il fatto che risulti già una variante preoccupante (VOC). Cerchiamo di capire meglio come mai questa variante del nuovo Coronavirus sta bruciando le tappe, mostrandosi potenzialmente in grado di scalzare la variante Delta.

Una serie di mutazioni preoccupanti

È vero che ci sono 32 mutazioni, tali da rendere Omicron potenzialmente in grado di eludere le difese immunitarie ed essere più infettiva, tanto da entrare in competizione con Delta; da qui a cadere nel panico, sostenendo che bucherà i vaccini rendendoli inutili ce ne passa. Lo si è pensato anche delle precedenti Voc, riscontrando comunque che il maggiore rischio riguarda i non vaccinati, mentre i vaccini continuano a garantire protezione contro le forme gravi di Covid-19 e la morte.

La risposta di Pfizer e Moderna

Ancora una volta dobbiamo far notare che i vaccini a mRNA sono più «aggiornabili» rispetto quelli di vecchia generazione, perché lavorano direttamente sul codice genetico relativo alla proteina Spike (S), ovvero il principale antigene di SARS-CoV-2, che permette il suo legame coi recettori ACE2 delle cellule.

«La variante Omicron ha un profilo di mutazioni preoccupante, ma non è per nulla detto che questo nuovo ceppo sia peggio di quanto abbiamo visto sin qui – particolarmente da un punto di vista clinico. Se anche fosse peggiore, si vedrà di quanto; ma intanto leggete i punti successivi – spiega il professor Enrico Bucci in un recente post su Facebook – Moderna, con i suoi vaccini contro le mutazioni di beta e di delta, ha già dei buoni candidati che potrebbero essere efficaci anche contro Omicron. I test sono già in corso. Pfizer in Sudafrica sta già testando l’efficacia del vaccino attuale contro Omicron. Anche Pfizer ha in sviluppo nuovi candidati contro la beta e altre varianti, che sono già in test avanzato; come nel caso di Moderna, questi candidati contro beta potrebbero colpire meglio omicron».  

Per il resto è presto per saltare a conclusioni. Le precedenti varianti dovrebbero averci insegnato l’importanza di attendere maggiori dati. Un’altra lezione di cui dovremmo far tesoro deriva dal fatto che proprio l’affidarsi all’immunità naturale, preferendola a quella derivata dal vaccino, permette al virus di avere un ambiente stimolante in cui evolversi, cosa possibile là dove non si previene la sua moltiplicazione nelle cellule dei contagiati. Basta dare un’occhiata al contesto in cui sono emerse le varianti per farsi un’idea.  

Omicron scalzerà Delta?

Fatte queste premesse, come accennavamo dobbiamo fare i conti con una trentina di mutazioni, alcune delle quali relative al RBD (Receptor Binding Domain), ovvero la porzione di Spike responsabile del legame con le cellule, che potrebbero dare al virus una marcia in più rispetto a Delta. Una situazione piuttosto inedita rispetto al precedente emergere. Abbiamo infatti fin da subito indizi di una potenziale maggiore pericolosità.

«Dopo i tanti “falsi allarmi” legati a lambda, mu, C.1.2 & company, ovvero a varianti che si stavano diffondendo in alcuni paesi PRIMA dell’arrivo di delta, con articoli scritti mesi prima e pubblicati sulle riviste scientifiche a mesi di distanza dalla loro scrittura, con incauti rilanci da parte dei media, in questo caso si sono diversi motivi per cui le preoccupazioni sembrano giustificate – continua il genetista Marco Gerdol nel suo post su Facebook – Di fatto si tratta della prima variante che, in un determinato contesto (quello della regione del Gauteng, in Sud Africa), è riuscita in tempi molto recenti a rimpiazzare delta, suggerendo dunque un notevole vantaggio competitivo».

Insomma, potrebbe essere in atto un «turnover» da Delta a Omicron, ancora tutto da verificare nelle prossime settimane. Al momento tutti gli occhi sono puntati nel Sudafrica, dove anche grazie alla scarsa copertura vaccinale (solo un sudafricano su quattro ha potuto vaccinarsi), si assiste così a una impennata dei casi.

«Ricordiamo che il Sud Africa è un paese che è già stato letteralmente flagellato da SARS-CoV-2, con una circolazione virale pressoché incontrollata che ha già causato 3 ondate – spiega il Genetista -Purtroppo questa situazione ha già portato ad oltre 270mila decessi in eccesso rispetto alle attese».

Abbiamo quindi un habitat piuttosto fertile in termini di siero-prevalenza per l’emergere di nuove varianti. Un altro falso che viene puntualmente smentito è quello del caldo (o della vitamina D), che aiuterebbe a contrastare la circolazione del virus, visto che il Sudafrica si trova nell’emisfero opposto al nostro.

Il particolare contesto Sudafricano

Ma la situazione epidemiologica Sudafricana è particolare anche per un’altra ragione, che avevamo considerato quando si parlava della variante Beta, ovvero la concomitanza di altri fattori, come l’elevata siero-prevalenza da infezioni naturali, quali HIV e TBC. Il fatto che cominciamo a vedere casi di Omicron anche in altri Paesi, come Israele e Hong Kong, potrebbe non spiegarsi con una maggiore rapidità di diffusione, bensì col fatto che non eravamo preparati a cercare il lignaggio B.1.1.529:

Questo significa anche, che probabilmente stiamo sottostimando il numero di casi con Omicron, i quali almeno in Sudafrica potrebbero essere già migliaia. D’altro canto mancano informazioni più precise sul luogo d’origine della Variante. È proprio il Gauteng, la regione di Johanesburg? Non lo sappiamo. Così come non sappiamo se siamo di fronte a un focolaio nella zona o se i dati sono più sparsi. 

«Per spiegarne in modo semplice il motivo – continua Gerdol – si tenga presente che i set di primers utilizzati per la RT-PCR nel paese non sono in grado di amplificare il gene S, ma sono in grado di amplificare con successo gli altri due target molecolari, analogamente a quanto accadeva per alfa (ma non per delta). Ne consegue che un tampone in cui si osservi un segnale di amplificazione per due target su 3 (con il fenomeno del cosiddetto S gene dropout) possa essere ragionevolmente identificato come riconducibile a B.1.1.529, mentre un tampone positivo a 3 target su 3 sia riconducibile a delta. Il monitoraggio del rapporto tra i due tipi di eventi ha rivelato che B.1.1.529 sia diventata in pochissimo tempo la variante nettamente prevalente nel Gauteng e che essa sia in rapida crescita (a discapito di delta) anche nelle altre regioni». 

Foto di copertina: MASSIMO PERCOSSI/ANSA | La tenda utilizzata per effettuare il tampone rapido della Croce rossa italiana alla stazione Termini, Roma, 26 luglio 2021.

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