Il cambiamento climatico fotografato da Stefano Guindani: «Racconto gli effetti dell’essere umano sull’ambiente»
«Le azioni che compiamo oggi, se ben orientate, garantiranno il perpetuarsi della vita umana e un futuro migliore per tutti e tutte». Da quando le Nazioni Unite hanno fissato gli obiettivi da seguire per evitare il disastro ambientale, gli occhi di tutto il mondo sono puntati sulle azioni dei governi e delle aziende globali. Ma per capire davvero a che punto è la lotta al cambiamento climatico, Banca Generali e il fotografo Stefano Guindani hanno ideato «BG4SDGs – Time to Change», un progetto fotografico che racconterà mese dopo mese i ritardi e i traguardi globali in tema di sostenibilità. A metà strada tra l’arte e il reporting, si tratta del primo lavoro in assoluto che indaga lo stato di realizzazione di tutti i 17 punti definiti dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030, stilata durante la Conferenza delle parti sul Clima di Parigi del 2015 (la Cop21). Guindani è un fotografo di lungo corso, che ha iniziato la sua carriera lavorando per il teatro e per la moda. Da qualche anno ha iniziato a dedicarsi a progetti più documentaristici, raccontando attraverso la sua arte luoghi lontani e realtà complesse – come Haiti e l’America centrale. «Quando mi dedico ai reportage sociali mi sento di raccontare la Storia», dice a Open. «Parli con le persone, ti rendi conto dei loro problemi, diventi più consapevole. E quest’ultima sfida sulla sostenibilità mi ha aperto gli occhi su quanto noi come esseri umani potremmo fare davvero la differenza».
Stefano Guindani, il progetto è lungo e ambizioso. Qual è l’idea alla base?
«Non volevamo fare una cosa troppo drammatica, né proporre immagini scontate alle quali, purtroppo, ci siamo già abituati. La sfida era quella di trovare un modo diverso di parlare del cambiamento climatico. Ad esempio, per quanto riguarda l’obiettivo dell’energia pulita, lì è molto difficile capire come andare al di là delle semplici pale eoliche o dei pannelli fotovoltaici. Però abbiamo trovato una chiave interessante: abbiamo pensato di far vedere in generale la doppia faccia dell’essere umano, sia in positivo che in negativo. Noi siamo sì responsabili dei danni ambientali, ma siamo anche capaci di trovare soluzioni».
Da dove avete iniziato il racconto?
«Abbiamo iniziato con il riciclo, che è il punto numero 12 dell’Agenda. Con il mio team abbiamo individuato un consorzio che si occupa di recuperare gli pneumatici e di trasformarli in un materiale con cui si fanno strade, campi da calcio, da basket e di sport in generale. Ci è sembrato un esempio virtuoso, perché l’alternativa dello smaltimento sarebbe estremamente inquinante».
Dove vi ha portato il viaggio finora?
«Siamo partiti dall’Italia, poi siamo andati nelle Isole Svalbard, in Norvegia, che sono il posto abitato più a Nord del mondo. Lì siamo andati a caccia del disgelo. Più in avanti, per gli altri soggetti, continueremo a girare il mondo alla ricerca delle immagini più emblematiche. Andremo in Brasile, Australia, Stati Uniti e Sudafrica».
Cosa avete visto nelle Isole Svalbard?
«Abbiamo navigato in un mare non ancora ghiacciato nonostante la stagione. Abbiamo visto, tristemente, i blocchi di ghiaccio staccarsi e galleggiare in acqua. E poi abbiamo incontrato la volpe artica, che è diventata la foto emblematica del progetto: anziché essere nascosta dal manto bianco della neve, correva sul terreno roccioso, rendendosi visibile ai predatori».
C’è qualcosa che non ti aspettavi di trovare e che ti ha colpito particolarmente nella tua ricerca?
«Intanto noi ci aspettavamo di trovare gli orsi, ma non c’erano. Poi l’antropologo che abbiamo coinvolto in questo progetto, che si chiama Alberto Salza, ci ha spiegato una cosa molto interessante sulla volpe artica. Stando alla legge di Darwin sull’evoluzione, è molto probabile che prima o poi diventerà nera per adattarsi alle nuove condizioni ambientali. Certo, non sappiamo se la vedremo mai in quelle vesti: o noi o lei potremmo estinguerci prima. Un’altra cosa che ho incontrato nel viaggio è stato un grande senso di tristezza. Abbiamo visto grandi spettacoli naturali, ma abbiamo anche appreso la consapevolezza di quanto siano fragili».
Pensi che questo sia un lavoro più artistico o più giornalistico?
«Penso che sia al confine. È sicuramente un lavoro di documentazione, e siamo intenzionati a raccoglierlo in un libro. Poi l’idea è quella di provare a esporli alla sede dell’Onu a New York».
Quale messaggio vuoi mandare con il tuo lavoro?
«Mi piacerebbe che le persone prendessero coscienza del loro ruolo nel costruire un futuro più sostenibile. Se sei miliardi di persone si mettessero tutte a fare qualcosa, sarebbe tutto perfetto. Continuo a vedere gente che spreca acqua, che butta i rifiuti a terra. Ovvio che non possiamo risolvere i grandi problemi, che restano prerogativa delle multinazionali, ma se iniziassimo dalle cose più semplici avremmo comunque dei grandi risultati».
Pensi che la fotografia possa avere un ruolo nell’educazione ambientale?
«Oggi la fotografia è uno dei mezzi più diffusi. Vengono scattate miliardi di immagini ogni giorno, quindi è uno strumento molto potente. Se si riesce ad attirare l’attenzione del pubblico, la fotografia può essere un grande aiuto in questo senso».
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