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M5s, così le “cartelle esattoriali” spaccano un gruppo già diviso tra chi delegittima «Peppe Conte» e chi attacca «Giggino ‘a nommena»

05 Dicembre 2021 - 12:55 Felice Florio
Rischio diaspora per le restituzioni. E si temono i franchi (morosi) tiratori nel voto per il Colle

La settimana che attende Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 stelle, si annuncia infuocata. Domani, lunedì 6 dicembre, arriveranno via mail le formazioni degli ipotetici direttivi dei candidati a capogruppo della Camera: presidente, vicepresidente, tesoriere e tre segretari. Al Senato, l’ha spuntata Mariolina Castellone, ribaltando i pronostici che vedevano favorito Ettore Licheri, fedelissimo di Conte. Poi, sempre nei prossimi sette giorni, si dovrebbero decidere alcuni ruoli chiave nella galassia di comitati che rendono complicatissimo l’organigramma pentastellato. Il malcontento già serpeggiava tra chi non ha un posto nell’intricata struttura del Movimento o incarichi parlamentari. Poi, con l’invio delle mail firmate Claudio Cominardi – il tesoriere grillino -, in cui si chiedono le quote mensili di 2.500 euro non versate dai parlamentari morosi – tutto dettagliato in un file Excel che sembra una cartella esattoriale – alcuni parlamentari 5 stelle sono esplosi.

La diaspora grillina

La settimana infuocata di Conte, in realtà, è iniziata già oggi, con le indiscrezioni comparse sui giornali che annunciano un altro esodo di deputati e senatori dal gruppo pentastellato. Da un lato – quello contiano – viene fatto trapelare che si tratta di una questione meramente economica: tra i parlamentari c’è chi ha decine di migliaia di euro di arretrati da restituire al Movimento. Dall’altro lato, invece, si imputa alla leadership di Conte – considerata debole – la mancanza di prospettive e di futuro politico. Due linee di interpretazione che si intersecano, in verità, in più punti: perché restare nel gruppo dei 5 stelle se non si crede nel successo del Movimento alle prossime elezioni? Perché restituire le ultime entrate da parlamentare se non ci sono chance di essere rieletti, a maggior ragione se resta il vincolo dei due mandati? Considerazioni che portano a fare delle stime sul numero di deputati e senatori pronti a lasciare la barca grillina. Con l’avvento del governo Draghi, ai 5 stelle sono rimasti 159 deputati e 74 senatori: il gruppo più numeroso, ma anche quello che ha subito più fuoriuscite da inizio legislatura, partita con 226 deputati e 112 senatori.

Il Giornale parla di circa 40 parlamentari «pronti a non seguire le indicazioni di Conte». Il Corriere scrive che sono 20 i deputati e 5 i senatori «che starebbero meditando l’addio al gruppo del M5s». A Open risulta che questa diaspora non ci sarà. Per il momento. Ma resta il problema della scarsa compattezza di un gruppo di parlamentari che sarà decisivo nelle vesti di Grandi elettori per il Quirinale: è lì che i nodi della presidenza contiana potrebbero emergere sotto forma di franchi tiratori. Un gruppo stimato in circa 40 parlamentari – è la media tra i contiani che dicono 30 e i dimaiani che dicono 50 – riconosce come suo leader Luigi Di Maio. Tra di loro, con un vezzeggiativo che sa di deminutio capitis, chiamano il presidente «Peppe Conte». Ma gli sfottò sono reciproci: per i contiani, il ministro degli Esteri è Giggino ‘a nommena, per la presunta abilità nel piazzare i suoi uomini nei posti che contano. Giggino ‘o core d’oro, più recentemente: il nomignolo è circolato nelle chat degli uomini di Conte dopo che il capo della Farnesina ha fatto assumere l’ex portavoce della sindaca Raggi, Teodoro Fulgione, al comitato Expo del ministero degli Esteri. Circa 90 mila euro annui di stipendio.

Il problema delle restituzioni

La pretesa delle restituzioni non fa che alimentare la delusione per una rivoluzione contiana che non si è ancora manifestata. Gli sgambetti di una e dell’altra parte, invece, sono evidenti. Nell’ultimo Consiglio dei ministri, mentre si discuteva sulla proposta del contributo di solidarietà, i grillini davano in pasto alle agenzie indicazioni opposte: i contiani dicevano che il Movimento era favorevole al prelievo sui redditi maggiori a 75mila euro – come confermato nell’intervista a La Stampa da Stefano Patuanelli -, i dimaiani invece parlavano di scetticismo dei 5 stelle sulla proposta. Basterà attendere domani, con la consegna delle liste dei direttivi per la corsa a capogruppo alla Camera, per capire se sussistono ancora le condizioni per ricompattare le due fazioni. Davide Crippa, capogruppo uscente e intenzionato a ricandidarsi, non dovrebbe inserire nella sua squadra – come vicepresidente – Vittoria Baldino, candidata contiana per il ruolo, ma con poche chance di essere eletta che da settimane cerca di costruire una squadra per sfidare il capogruppo uscente. All’accordo, come ricordano le sue origini, il Movimento sembra continuare a preferire lo scontro.

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