Via libera all’accordo sullo smart working per il settore privato: cosa prevede su riposi, pc personale e per chi non vuole farlo
Il suo esordio ha travolto il mercato del lavoro. Come lasciano intuire le oscillazioni in borsa delle azioni di Zoom, prima della pandemia lo smart working era riservato a qualche articolo sul curioso futuro del lavoro. Da marzo 2020, almeno in Italia, è diventata invece una pratica comune in molti lavori, tanto che ora il governo ha firmato un accordo con sindacati e associazioni dei lavoratori per capire come regolarlo. Il protocollo condiviso con il ministro del Lavoro Andrea Orlando prevede prima di tutto che lo smart working possa essere fatto con un accordo scritto individuale. In questo documento bisogna spiegare l’alternanza tra i periodi di lavoro interni ed esterni all’azienda e la durata dell’accordo.
L’uso del pc personale
Uno dei punti più spinosi sullo smart working è stato quello dei mezzi: i dipendenti devono usare i loro pc o è obbligo dell’azienda fornire tutto il materiale necessario? Di norma gli strumenti vengono dati dal datore di lavoro ma attraverso l’accordo si può decidere anche che vengano usati quelli del dipendente. Chiarita anche la parte sugli orari: «La giornata lavorativa svolta in modalità agile si caratterizza per l’assenza di un preciso orario di lavoro e per l’autonomia nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati». É chiarito però che al lavoratore dovrà essere garantita una fascia oraria di disconnessione, in cui non sarà tenuto a offrire nessuna prestazione lavorativa. Libertà sulla scelta del luogo di lavoro: basta che abbia le caratteristiche necessarie per svolgere tutto in sicurezza, sia per il dipendente che per i dati che tratta.
Chi non vuole lo smart working
E chi non vuole lavorare in smart working? Il nuovo protocollo prevede anche questo: «L’eventuale rifiuto del lavoratore di aderire o svolgere la propria prestazione lavorativa in modalità agile non integra gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, né rileva sul piano disciplinare». Secondo un rapporto pubblicato a novembre dal Politecnico di Milano, i lavoratori in smart working prima della pandemia erano circa 600 mila in tutto il Paese. Nei mesi più duri sono arrivati a 6,5 milioni e ora sono scesi a poco più di 4 milioni di unità. Secondo il PoliMi gli effetti positivi sarebbero anche per l’ambiente: con due giorni e mezzo di lavoro in remoto si risparmiano emissioni paragonabili a quelle assorbite da 500 aree verdi grandi come Central Park.
Il testo completo dell’accordo sullo smart working
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