La Lega attacca Lamorgese sul caso Di Bari, ma fu Salvini a portarlo al Viminale. Ecco chi è il prefetto
Anche se Rosalba Livrerio Bisceglia, moglie del prefetto Michele Di Bari, non ha avuto rapporti lavorativi con il Viminale, il caso di caporalato che ha coinvolto lei e altre 15 persone sta creando non pochi imbarazzi al ministero dell’Interno. La donna, sottoposta a obbligo di firma e dimora, era «consapevole delle modalità della condotta di reclutamento e sfruttamento» dei braccianti, ha scritto il gip di Foggia. Suo marito, seppure non coinvolto, per l’imbarazzo causato dalla coniuge si è dovuto dimettere dal ruolo di capo del dipartimento per l’Immigrazione. Ma questo non è bastato a placare le polemiche del centrodestra contro la titolare del dicastero, Luciana Lamorgese. «Non basta che si dimetta Di Bari – tuona il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Francesco Lollobrigida -. Serve una vera svolta per mettere la parola fine alla scandalosa gestione dei dossier in capo al ministero dell’Interno che ha in Lamorgese la principale responsabile. Dall’immigrazione alla sicurezza, gli errori e la superficialità del ministro evidentemente riguardano anche gli uomini da lei confermati in ruoli chiave per la gestione del dicastero. Lamorgese si dimetta o sia il presidente del Consiglio Draghi a rimuoverla quanto prima».
Non parla di dimissioni della ministra, ma invoca un suo intervento immediato in Aula la leader del partito di opposizione, Giorgia Meloni: «In attesa che la giustizia faccia il suo corso, chiediamo a Luciana Lamorgese di riferire immediatamente in Aula. Il Viminale vacilla sempre di più anche a causa di una ministra che, ogni giorno che passa, dimostra la sua totale inadeguatezza». Sulla stessa linea si muove, però, anche il segretario della Lega, partito di maggioranza. Matteo Salvini, predecessore di Lamorgese al Viminale, chiede che «che la ministra dell’Interno riferisca immediatamente in parlamento». Senza citare mai il nome del prefetto, Salvini attacca anche la gestione dei flussi migratori portata avanti dai suoi uffici: «Al di là della vicenda giudiziaria che non mi permetto di giudicare, i dati sull’immigrazione, visto che stiamo parlando del Capo dipartimento per l’immigrazione, dicono che in due anni ci sono stati più di 100 mila sbarchi, quest’anno più che raddoppiati rispetto all’anno scorso». Peccato, però, che sia stato lui a volere di Bari in quel ruolo, dato che il prefetto ha iniziato il suo incarico al Viminale proprio a maggio 2019. Ma chi è di Bari e come è arrivato a guidare il dipartimento per l’immigrazione?
La carriera di Di Bari e il caso Lucano
Nato nel 1959 a Mattinata, in provincia di Foggia, Michele di Bari inizia il suo cursus honorum laureandosi con lode in Giurisprudenza. La pubblica amministrazione lo affascina più di un percorso nell’avvocatura, perciò continua il periodo di formazione prima alla Luiss, diplomandosi nel corso di studio per aspiranti segretari comunali, poi tramite un master biennale in Management sanitario tenuto dalla Sda Bocconi. L’ultimo tassello formativo lo aggiunge frequentando il corso di perfezionamento Cittadinanza europea ed amministrazioni pubbliche organizzato dalla Scuola superiore dell’amministrazione dell’Interno, in collaborazione con l’Università degli Studi Roma Tre. 31 anni prende il via la sua carriera da prefetto, ottenendo la promozione a viceprefetto nel 2001. Parte da Foggia, la sua provincia natale, dove ricopre l’incarico di capo di gabinetto e viceprefetto vicario. In seguito si sposta leggermente più a Sud, nella neonata provincia di Barletta-Andria-Trani: qui è prima vice commissario governativo, poi commissario ad acta per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali del Tar. È commissario straordinario di diversi comuni. Successivamente, compie il salto verso le istituzioni romane: nel 2007, riceve la nomina di esperto in sanità dalla presidenza del Consiglio. Tre anni più tardi, il già prefetto viene spedito in Friuli-Venezia Giulia per ricoprire le funzioni di vice commissario del governo nella Regione.
Riprende il via vai tra Sud e Nord Italia: nel 2012 lo troviamo a Vibo Valentia, come prefetto, poi va a Modena dove guida la prefettura dal 2013 al 2016. Ritorna in Calabria per i successivi tre anni, di stanza Reggio Calabria. Durante questo periodo, firma la sospensione del sindaco, Mimmo Lucano, per l’inchiesta sul modello Riace e i flussi migratori. Nel 2017, la prefettura di Reggio Calabria ordina una serie di ispezioni dalle quali emergerebbero «irregolarità burocratiche e criticità» nella gestione Lucano. Infine, mentre il dicastero è retto da Salvini nel governo Conte uno, di Bari viene nominato capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione al ministero dell’Interno. Lo scorso giugno, al giornale Interris, Di Bari dà la sua visione sull’accoglienza dei migranti in Italia: «Costituire uno strumento di responsabilizzazione nei confronti del territorio e della comunità di residenza è il principale anticorpo in grado di prevenire e neutralizzare fenomeni di radicalizzazione. L’Italia, storico crocevia di popoli e culture, ne è testimone privilegiato, come dimostrato dalle sue ricchezze artistiche e urbanistiche, realizzate nel corso dei secoli. Nel corso degli ultimi 50 anni il nostro Paese, che ha visto emigrare 60 milioni di Italiani in tutto il mondo, è diventato meta di migranti, intenzionati a migliorare le proprie condizioni di vita».