Lilli Gruber ospite del podcast di Marco Mengoni: «Nel giornalismo non c’è posto per l’emotività» – Il video
Anche i giornalisti sono esseri umani. È da questo presupposto che parte Marco Mengoni, in un dialogo con la giornalista e storica inviata speciale di guerra Lilli Gruber, nella prima puntata della seconda stagione de «Il Riff di Marco Mengoni», il podcast ideato e condotto dal cantautore vincitore della 63esima edizione del Festival di Sanremo, disponibile da domani, giovedì 16 dicembre. In questa prima puntata Mengoni ha deciso di sondare il rapporto personale tra emotività, coscienza umana, verità e responsabilità dell’informazione nella vita professionale di una delle più note e autorevoli giornaliste italiane e che consentono a una reporter di rimanere lucida senza lasciarsi trasportare dalle emozioni, raccontando al pubblico i fatti e non i sentimenti che ne scaturiscono.
Ci sono infatti contesti, come quelli di guerra, in cui inevitabilmente i giornalisti si trovano a dover dare conto, nel modo più lucido e chiaro possibile, di eventi drammatici e spaventosi. Momenti in cui, osserva Mengoni, la professione del giornalista si intreccia inevitabilmente con la coscienza umana, che deve fare i conti con la crudeltà delle storie da raccontare. E Gruber osserva: «Fare il mestiere del giornalista e del reporter di guerra richiede una formazione, una preparazione, uno studio e un aggiornamento costante. E nei contesti di guerra – prosegue Gruber – il giornalista deve essere lucido, non deve farsi trasportare dalle emozioni, anche quando vede degli orrori terribili, anche perché le guerre significano una cosa sola: orrore, morte, violenza, povertà e si sa soprattutto che a pagare il prezzo più alto sono in genere quelli che non hanno voce, i più deboli, le donne, i bambini, gli anziani».
E ripercorrendo le propria carriera professionale, ma raccontandola a piena voce, con umanità, Gruber spiega: «Quando ti trovi in un posto anche molto pericoloso metti in conto che ti possa succedere anche qualcosa di grave, però non ci pensi in quel momento: almeno così è accaduto a me. Magari ci pensi prima, e ci pensi dopo – prosegue – e nel mentre può capitare di avere paura, ma non ho mai avuto il panico, riuscendo a essere lucida e riuscendo a raccontare a un pubblico più vasto una situazione disastrosa, dolorosa e anche complessa fornendo dei fatti e non le emozioni». Secondo Gruber, il tentativo di bilanciare emotività e professionalità è l’aspetto più cruciale del giornalismo passato, presente, e futuro: «Oggi tendiamo a essere invasi da una marea di emozioni, ma noi giornalisti continueremo ad avere il dovere di raccontare in modo accurato, serio, comprensibile i fatti, e quindi di raccontare la verità».
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