Statali, arriva l’identità alias per i dipendenti transgender: «Così elimineremo discriminazione e disagi»
Si chiama “identità alias” e tutela sul lavoro le persone che stanno cambiando sesso o genere. La novità è contenuta nell’ultima bozza del contratto degli statali che apre così a un riconoscimento finora presente in minima parte all’interno del settore pubblico. L’identità alias prendere ispirazione dall’esperienza di scuole e università, attualmente in vigore in 32 atenei su 68: da anni gli istituti riconoscono alle persone in transizione un percorso psicologico in atto e prevedono una strada alternativa a quella dei cisgender e cioè delle persone che si riconoscono nel genere e nel sesso della propria nascita. Un riconoscimento che viene concesso ben prima di cambiare nome sulla carta d’identità e che ora apparterrà anche al settore del lavoro pubblico.
La bozza del contratto
«L’obiettivo è quello di eliminare situazioni di disagio ed evitare che possano verificarsi forme di discriminazione», si legge nella bozza del contratto agli statali. Il lavoratore o lavoratrice che avvierà la transizione potrà fare richiesta della “identità alias” presentando, come indicato dal testo, «adeguata documentazione medica». A quel punto, dopo l’accettazione da parte dell’azienda della richiesta fatta, il/la dipendente potrà avere sul proprio fascicolo personale l’alias che deciderà al posto del suo nome di battesimo. Stessa cosa per il cartellino di riconoscimento, le credenziali di posta elettronica, la targhetta sulla porta dell’ufficio. «Il nome alternativo non verrà invece utilizzato per documenti strettamente personali come busta paga, matricola, provvedimenti disciplinari e sistemi per rilevare le presenze», spiega la bozza di contratto. A questo elenco si aggiungono anche tutti gli atti firmati dal/dalla dipendente che avranno quindi intestazione con il nome di battesimo.
L’identità alias in Italia
Il mondo universitario conosce già l’uso dell’identità alias. Si tratta di un accorgimento burocratico ma che in termini di riconoscimento sociale ha sempre fatto una grande differenza per studenti e studentesse. L’ultimo passo avanti compiuto dagli atenei e che in un futuro prossimo potrebbe toccare anche il mondo del lavoro, è quello di non richiedere più neanche il certificato medico di verifica. Dalla metà di gennaio 2020 l’Università di Pisa, tra tutte, ha deciso per un’attivazione di “carriera alias” attraverso la semplice sottoscrizione di un accordo di riservatezza tra l’ateneo e la persona. L’intento a Pisa, come altrove, è stato quello di evitare episodi di stigmatizzazione per studenti costretti a “giustificare” continuamente la propria identità di genere.
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