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Le storie dei No vax in rianimazione che rifiutano le cure: «Portano diffide, c’è chi minaccia di staccarsi il casco»

04 Gennaio 2022 - 08:41 Redazione
rianimazione terapia intensiva no vax casco
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C'è chi esce firmando e poi finisce ricoverato in un altro nosocomio. E chi chiede la vitamina B o l'ozonoterapia

La storia della pandemia di Coronavirus in Italia è costellata di piccole vicende come quelle che si raccontano ogni giorno nelle corsie degli ospedali. Dove ci sono No vax che dicono di contattare il loro avvocato quando il medico chiede loro i nomi dei familiari. Ma c’è anche chi esce firmando dagli ospedali: al policlinico Umberto I, racconta oggi Il Messaggero, tre pazienti se ne sono andati dalla terapia intensiva. Uno di questi dopo poco tempo è stato ricoverato in un altro ospedale. «Sono episodi che capitano ciclicamente. Al pronto soccorso, per esempio, i No-Vax hanno la paura che gli si possa iniettare il vaccino a loro insaputa», raccontano i dottori. E non solo. «Qualche giorno fa in un grande ospedale del Veneto è arrivato un paziente con un testo di diffida scritto dall’avvocato e che tra l’altro ha chiesto di usare determinate terapie che sono assolutamente improprie, come l’ozonoterapia o l’integrazione di minerali. Ma anche di vitamina D, che non ha dimostrato alcun risultato», dice Alberto Giannini, anestesista e rianimatore dell’Asst Spedali Civili di Brescia.

Giannini è uno degli anestesisti che ha firmato l’appello di Siaarti a non abbandonare chi rifiuta le cure. Ma oggi racconta anche che ha avuto una paziente che ha rifiutato le trasfusioni di sangue perché aveva paura di ricevere il plasma da persone vaccinate. Per lui l’opposizione alle cure avviene «su base ideologica. Peccato che tutte queste convinzioni siano fondate su elementi deformanti della realtà. Sono letture irrazionali. All’inizio della pandemia non era affatto così. I medici non venivano guardati con questo sospetto». Oggi invece arrivano testimonianze come quella di un infermiere di Varese: «Ci sono persone restie a sottoporsi alle terapie e che danno la colpa della loro condizione al fatto che non siano state curate a casa. Un paziente ha minacciato di staccarsi il casco per la respirazione. Ho cercato di tranquillizzarlo ma lui era davvero determinato. Abbiamo fatto venire la moglie per convincerlo. A quel punto se l’è rimesso ma le sue condizioni erano così compromesse che è stato necessario il ricovero in terapia intensiva. Oggi è ancora lì».

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